Parigi non dimenticherà facilmente la giornata in cui un ex presidente della Repubblica è stato condannato a cinque anni di carcere con immediata esecuzione della pena. Nicolas Sarkozy, 69 anni, si prepara a entrare in cella per la vicenda dei presunti finanziamenti libici alla campagna del 2007. Una sentenza che segna un precedente pesante nella storia politica francese e che divide il Paese tra chi parla di giustizia uguale per tutti e chi denuncia una deriva giudiziaria.
“Se vogliono che io dorma in carcere, ebbene dormirò in carcere, ma a testa alta. Io sono innocente. Questa ingiustizia è uno scandalo. Naturalmente farò appello”, ha detto Sarkozy all’uscita del tribunale. Poche frasi, pronunciate con fermezza, che condensano il senso di una sfida destinata a proseguire nei prossimi mesi davanti alle corti d’appello.
Il processo, nato da un’inchiesta aperta oltre dieci anni fa, aveva al centro i presunti flussi di denaro provenienti dalla Libia di Muammar Gheddafi per finanziare la corsa all’Eliseo di Sarkozy. Un’indagine monumentale, costata milioni di euro, che ha coinvolto decine di testimoni e prodotto migliaia di documenti. Eppure, come ha ricordato lo stesso ex presidente, i giudici hanno ammesso di non aver trovato la prova decisiva: “Più di dieci anni di inchiesta, milioni di euro spesi per cercare un finanziamento libico che il tribunale ha detto di non essere riuscito a trovare.”
Il verdetto ha scosso la scena politica francese. Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, ha attaccato frontalmente la decisione: “Al di là della persona dell’ex presidente Nicolas Sarkozy, la negazione del doppio grado di giurisdizione attraverso la generalizzazione dell’esecuzione provvisoria della pena rappresenta un grande pericolo, nei confronti dei grandi principi del nostro diritto, primo fra tutti la presunzione di innocenza.” Parole che evidenziano come il caso non sia solo giudiziario ma profondamente politico.

La tensione è esplosa anche fuori dall’aula. Carla Bruni, moglie di Sarkozy, non ha retto alla pressione e ha strappato il coprimicrofono di Mediapart, il giornale che nel 2012 rivelò le prime tracce dei presunti fondi libici. Un gesto che racconta più di tante parole lo stato emotivo della famiglia, colpita da anni di indagini e ora travolta da una sentenza che rischia di cambiare tutto.
Sarkozy, già condannato in altri procedimenti, vive così l’ennesimo capitolo di un confronto feroce con la giustizia. “Quello che è successo oggi, in quest’aula di tribunale, è di una gravità estrema per lo stato di diritto, per la fiducia che si può avere nella giustizia”, ha detto, trasformando la sua vicenda personale in una battaglia simbolica per la Francia. “Quelli che mi odiano fino a questo punto hanno voluto umiliarmi. Ma è la Francia che hanno umiliato.”
Il clima politico intanto si infiamma. Per alcuni l’ex presidente sta cercando di trasformarsi in martire per sfuggire a una condanna che conferma un legame opaco con regimi stranieri. Per altri, si tratta dell’ennesima dimostrazione di un accanimento giudiziario che colpisce figure scomode. In mezzo resta un Paese spaccato, dove la fiducia nelle istituzioni giudiziarie è già minata da anni di scandali e lentezze.
Non è la prima volta che Sarkozy si trova a fronteggiare accuse pesanti, ma mai prima d’ora la prospettiva del carcere era stata così concreta. “Se dovessi perdere, resterei comunque in Consiglio regionale”, ha ricordato qualche tempo fa parlando di un’altra vicenda politica. Ora la frase ritorna, in controluce, con un significato diverso: l’idea di restare in campo nonostante tutto.
La Francia osserva, divisa. Da un lato i sostenitori della linea dura, convinti che nessuno, nemmeno un ex capo di Stato, debba sfuggire alle regole. Dall’altro chi teme che il caso Sarkozy finisca per indebolire ulteriormente la credibilità delle istituzioni democratiche. Quel che è certo è che il processo non si chiude qui: l’appello è già annunciato e potrebbe ribaltare la sentenza.
Nell’attesa, resta l’immagine forte di un ex presidente che affronta la prospettiva del carcere rivendicando innocenza e dignità. Con accanto una moglie che combatte a modo suo e un Paese che si interroga sul confine tra giustizia e politica. Sarkozy, a testa alta, sembra pronto a trasformare la sua cella in un nuovo palcoscenico.