Davvero Putin può colpire Roma con missili ipersonici? L’allarme Nato e la nuova partita nel Mediterraneo

Davvero Vladimir Putin può colpire Roma con un missile ipersonico? La domanda, che fino a ieri poteva sembrare un incubo da film apocalittico, è diventata di colpo materia di dibattito dopo le parole del nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte. In un’intervista al Tg1, l’ex premier olandese ha parlato di “missili ipersonici russi pronti a colpire anche Roma”. Una dichiarazione che ha fatto sobbalzare le cancellerie europee, ma che gli analisti invitano a leggere nel contesto delle tensioni di queste settimane: un gioco di nervi, più che un allarme concreto.

Ottobre, da sempre, è il mese delle esercitazioni nucleari. Era così ai tempi della Guerra Fredda, quando i caccia Nato e i bombardieri sovietici si sfidavano in uno show muscolare a distanza, ed è così anche oggi. Tra pochi giorni partiranno due manovre parallele: “Grom” per la Russia, “Steadfast Noon” per l’Alleanza atlantica. Un duello a distanza, dall’Artico al Mediterraneo, in cui le armi non si useranno davvero, ma le intenzioni sì.

Rutte parla di armi ipersoniche, e la mente corre subito ai missili “Zirkon”, i nuovi gioielli di Mosca. Viaggiano a oltre seimila chilometri orari, sei volte la velocità del suono, e possono sfuggire alle difese antimissile occidentali. Ma, come spiega l’intelligence europea, la minaccia per l’Italia è in questo momento più teorica che reale.

Dopo la caduta del regime di Assad, infatti, la Russia ha perso il porto siriano di Tartus, il suo unico punto d’appoggio stabile nel Mediterraneo. Le navi con i missili Zirkon, che lo scorso anno avevano attraversato lo Ionio e il Tirreno, sono rientrate in patria. Oggi, nel nostro mare, restano solo tre unità russe: una fregata, una corvetta e un sottomarino convenzionale. Nessuna di queste è armata con testate ipersoniche.

La capacità di proiezione russa nel Mediterraneo, quindi, è crollata. Tuttavia, secondo fonti dell’intelligence britannica, un altro fronte si starebbe aprendo. Lo scorso dicembre, dopo la caduta di Damasco, alcuni caccia Mig-31 — gli stessi usati per lanciare missili Kinzhal — sarebbero stati trasferiti in Cirenaica, la regione libica controllata dal generale Haftar, da anni vicino al Cremlino.

La notizia non è mai stata confermata da immagini satellitari, ma diversi rapporti parlano di lavori per allungare le piste e ristrutturare hangar in due ex basi militari abbandonate dopo la morte di Gheddafi. Se i Mig-31 dovessero davvero essere schierati in Libia, i loro missili potrebbero colpire il Sud Europa in pochi minuti. Una prospettiva che potrebbe spiegare le parole di Rutte: forse ha ricevuto informazioni riservate, forse ha voluto lanciare un messaggio a Mosca alla vigilia delle esercitazioni.

Perché la vera guerra, oggi, è anche psicologica. Putin mostra i muscoli, la Nato risponde in modo speculare. L’anno scorso, durante la stessa “Grom”, i russi misero in scena un test con missili balistici intercontinentali e testate tattiche, le più pericolose perché concepite per essere usate anche in un conflitto “limitato”. Piccole atomiche, ma abbastanza potenti da cancellare una città.

È su questo terreno che si gioca la partita. Non sulle minacce di colpire Roma, ma sulla deterrenza. Ed è per questo che anche la Nato ha deciso di far sentire la propria voce. A fine ottobre scatterà l’esercitazione “Steadfast Noon”, la più importante dell’Alleanza, che coinvolgerà venti Paesi e circa sessanta velivoli. Alcuni partiranno proprio dall’Italia: dalle basi di Aviano, in Friuli, e Ghedi, in Lombardia, dove si trovano le bombe nucleari americane B61.

In caso di conflitto reale, verrebbero caricate sui Tornado italiani e sugli F-16 statunitensi. Si stima che in Italia ne siano custodite una cinquantina, altre sono in Germania, Olanda e Belgio. Durante l’esercitazione non lasceranno i bunker, ma gli equipaggi verranno addestrati a estrarle dai contenitori corazzati e a montarle sotto le ali dei caccia, che voleranno con simulacri verso Est.

È un rituale, un messaggio politico più che militare: “siamo pronti”. Un modo per dire a Mosca che l’ombrello nucleare della Nato funziona ancora, e che nessuno intende arretrare. Ma il linguaggio dei simboli, in tempi di guerra, può diventare una miccia. E il rischio è che le esercitazioni diventino prove generali di scontro.

In questo scenario sospeso tra realtà e propaganda, le parole di Rutte risuonano come un avvertimento più che come una previsione. Nessun missile ipersonico russo punta oggi su Roma. Ma il fatto stesso che il capo della Nato debba precisarlo racconta quanto il mondo sia tornato vicino alla logica del terrore nucleare.

L’Italia, con le sue basi e il suo mare, è di nuovo al centro della contesa strategica tra Est e Ovest. Da Aviano a Ghedi, da Sigonella a Taranto, il nostro territorio è parte di quel gigantesco Tetris militare che un tempo chiamavamo Guerra Fredda. Solo che oggi la minaccia viaggia più veloce del suono e la paura, ancora una volta, si chiama Mosca.