“L’accordo è fatto”. Con queste parole, Donald Trump ha annunciato con entusiasmo il raggiungimento di un’intesa commerciale con la Cina, dopo 48 ore di trattative serrate a Londra e un clima di tensione che, fino a pochi giorni fa, sembrava aver compromesso la fragile tregua siglata a Ginevra. Al termine del vertice ospitato nella storica Lancaster House, le delegazioni hanno lasciato il tavolo negoziale con un’intesa preliminare che, secondo molti analisti, rappresenta un progresso, seppur “molto piccolo”, nel percorso verso la distensione commerciale tra le due superpotenze.
I termini dell’accordo non sono stati ancora completamente svelati, ma tra i punti principali figurano l’impegno di Pechino a ridurre i vincoli sulle esportazioni di terre rare e magneti. Da parte loro, gli Stati Uniti si sono detti pronti a eliminare alcune barriere all’export — inclusi i microchip — e ad accogliere più studenti cinesi nelle università americane. I dazi doganali restano invariati rispetto a quanto stabilito nell’accordo di Ginevra di maggio: 30% per i prodotti cinesi e 10% per quelli americani.
Nonostante le parole di Trump, che ha menzionato tariffe “sulla Cina al 55%”, la Casa Bianca ha subito chiarito che si trattava di una somma complessiva: i dazi del 30% più quelli precedenti del 25% (di cui il 10% generalizzato e un 20% mirato sul fentanyl). Il chiarimento ufficiale ha corretto le dichiarazioni iniziali del presidente, ma la mancanza di dettagli precisi sull’accordo ha lasciato perplessi gli investitori, che notano l’assenza di una firma ufficiale da parte dei capi di Stato. Un elemento che, secondo il mercato, potrebbe indicare divergenze non ancora superate e la necessità di un intervento politico ad alto livello per legittimare le concessioni fatte.
“Con Xi lavoreremo insieme. I rapporti sono eccellenti”, ha scritto Trump per rassicurare sulla tenuta dell’intesa. Tuttavia, le Borse europee hanno chiuso in negativo (Milano ha perso lo 0,07%), mentre Wall Street ha registrato rialzi contenuti, inferiori allo 0,5%. Gli operatori finanziari vedono l’accordo come un possibile segnale di stabilità, ma restano cauti: il percorso verso una vera intesa commerciale duratura è ancora lungo, e l’accordo raggiunto appare più come una conferma della tregua esistente che una svolta.
Alcuni analisti hanno sottolineato che, durante i colloqui londinesi, “molto tempo è stato trascorso con i traduttori, e il risultato finale è stato il mantenimento dello status quo”, sottolineando differenze evidenti nei resoconti offerti dalle due delegazioni.
Mentre Trump si dice certo che la Cina sarà la prima a spedire le terre rare agli Stati Uniti, da Pechino arrivano toni più prudenti. Secondo fonti vicine al governo cinese, le concessioni saranno simmetriche, cioè attuate solo quando anche Washington rimuoverà le restrizioni sui chip. Inoltre, la Cina intende limitare la durata delle licenze per l’esportazione di terre rare verso le aziende statunitensi a sei mesi, lasciandosi così margini di manovra nel caso di nuove tensioni.
Con il documento ancora in attesa della firma di Trump e Xi, i negoziatori statunitensi si preparano ad affrontare altri tavoli critici, in vista della scadenza di luglio che segna la fine della pausa di 90 giorni imposta dallo stesso presidente dopo il cosiddetto ‘giorno della Liberazione’.
Al momento, le intese annunciate sono ancora poche, ma dalla Casa Bianca trapela ottimismo: altre intese dovrebbero arrivare a breve, secondo quanto dichiarato. Intanto, l’Unione Europea resta in attesa. “Sarà probabilmente alla fine”, ha ammesso il segretario al Commercio Howard Lutnick, aggiungendo: “È molto più che spinosa nelle trattative”, perché composta da molti Paesi e priva, secondo lui, di una guida chiara. “Questo – ha osservato – è il contrario rispetto a Donald Trump”.