Donald Trump è tornato alla Casa Bianca: la sua prima grande mossa geopolitica passa per Riyadh

Donald Trump durante il pranzo alla Casa Bianca con la Premier Italiana

Nessuna passerella diplomatica. Nessun vertice rituale. Quello andato in scena in Arabia Saudita è stato un vertice del potere reale — economico, tecnologico, strategico. Nella sala del trono saudita non c’erano solo Donald Trump e il principe ereditario Mohammed bin Salman. Attorno al tavolo sedevano anche i vertici di OpenAI, NVIDIA, Amazon Web Services, BlackRock, Tesla, Palantir e altri colossi chiave dell’industria americana. Non una missione di cortesia, ma una trattativa ad alta tensione per riscrivere le regole del gioco globale.

Secondo fonti vicine all’accordo, l’obiettivo è chiaro: un nuovo ordine economico e tecnologico fondato su un patto di ferro tra Stati Uniti e Arabia Saudita, capace di ridisegnare gli equilibri industriali mondiali.

Le cifre sul tavolo parlano da sole, anche se le fonti non sono sempre allineate:

  • $1.000 miliardi di investimenti bilaterali in infrastrutture, difesa, energia, AI, data center e manifattura.
  • $142 miliardi in armamenti americani, il più grande pacchetto militare firmato da un’amministrazione USA con Riad.
  • Oltre $80 miliardi in tecnologie emergenti: cloud, intelligenza artificiale, semiconduttori, sistemi di sorveglianza.
  • $20 miliardi da DataVolt per realizzare una rete di data center AI sul suolo americano.
  • E secondo alcune fonti, oltre $500 miliardi già impegnati nella “fase uno” dell’accordo, con tempistiche accelerate: 72 ore per firmare i primi memorandum.

Al centro dell’intesa, un baratto di nuova generazione: capitale per influenza, tecnologia per accesso, sicurezza per supremazia digitale.

La dottrina è chiara da entrambi i lati:

  • Trump rilancia il mantra “America First”, ma con una variante: fabbriche e posti di lavoro made in USA finanziati da petrodollari sauditi. Le aziende tech americane portano competenze e tecnologie, Riad mette sul piatto liquidità e mercati.
  • MBS rilancia “Silicon Dune”, il progetto di fare dell’Arabia Saudita la nuova capitale mondiale dell’AI, del cloud, delle smart city e della difesa hi-tech. NEOM, la città futuristica nel deserto, ne è il simbolo. Ma il vero obiettivo è più ambizioso: entrare nel codice sorgente dell’economia del XXI secolo.

Non si tratta solo di business. È una questione di poteri sovrani. Chi controllerà i dati, l’energia computazionale e l’infrastruttura digitale avrà un vantaggio schiacciante nella nuova Guerra Fredda tecnologica — contro la Cina, ma anche all’interno dell’Occidente stesso.

Questo asse USA–Arabia Saudita non nasce solo per ragioni economiche, ma per costruire un’alleanza strategica nell’epoca dell’intelligenza artificiale. Un’alleanza che bypassa l’Europa, mette in crisi la leadership cinese nel Sud globale e propone un nuovo modello: autocrazie liquide con partnership selettive nei settori chiave.

Il messaggio più forte è simbolico. Il futuro dell’intelligenza artificiale, dell’industria e della sicurezza non si giocherà più soltanto nella Silicon Valley.

Si giocherà dove ci sono energia, dati e potere geopolitico. E oggi, Riyadh ha tutto questo — più un accesso privilegiato a Wall Street e alla nuova Casa Bianca. Mohammed bin Salman non vuole essere un cliente dell’Occidente. Vuole essere co-architetto del nuovo ordine tecnologico globale. E in cambio offre ciò che ogni superpotenza cerca: stabilità finanziaria, influenza regionale e infrastrutture di calcolo alimentate da energia a basso costo.

Trump ha colto il segnale. E ha risposto con un’alleanza che promette di riscrivere le regole della globalizzazione tecnologica.