È giovane, spigoloso, e non sembra avere paura di nessuno. Zohran Mamdani, 34 anni, nuovo sindaco di New York, ha messo subito le carte in tavola: “New York non si tocca”. Un messaggio diretto al presidente Donald Trump, pronunciato la notte della vittoria con un sorriso e il tono di chi sa che la sfida è appena cominciata.
Mamdani, figlio di rifugiati ugandesi di origine indiana, è il primo socialista democratico a conquistare la guida della metropoli americana. E non perde tempo: la sua squadra di transizione è composta interamente da donne, una scelta che manda un segnale chiaro di discontinuità.
A co-dirigerla sarà Lina Khan, ex presidente della Federal Trade Commission sotto Biden, la donna che ha sfidato i giganti del web in nome della concorrenza e dei diritti dei consumatori. Con lei, Maria Torres Springer, già vicesindaca di Eric Adams; Grace Bonilla, collaboratrice dell’era Bloomberg; e Melanie Hartzog, che gestì la sanità cittadina sotto Bill de Blasio.
«Voglio una squadra capace di reinventare la città», ha dichiarato Mamdani. Il suo piano economico è ambizioso e già divide: trasporti pubblici gratuiti, asili nido senza costi fino ai cinque anni e congelamento degli affitti per oltre due milioni di residenti. Una rivoluzione sociale dal costo stimato di sette miliardi di dollari l’anno, che il sindaco intende finanziare con una tassa del 2% sui redditi superiori al milione di dollari.
Wall Street osserva con scetticismo, ma alcuni grandi nomi si sono mossi in segno di apertura. Il miliardario Bill Ackman gli ha inviato un messaggio di auguri, mentre Jamie Dimon, CEO di JP Morgan, ha rivelato di avergli lasciato “un messaggio in segreteria”.
Mamdani è consapevole di essere sotto i riflettori. È il più giovane sindaco di New York da oltre un secolo, e anche uno dei più radicali. Ha promesso di mantenere Jessica Tisch come capo della polizia, una mossa che tranquillizza i moderati ma irrita l’ala più a sinistra del suo elettorato. «Voglio dimostrare che un’amministrazione progressista può anche essere efficiente e sicura», ha spiegato.
Sul fronte politico, però, la tensione è già altissima. Dopo la sua vittoria, Mamdani ha rivolto a Trump un messaggio diretto: «Presidente, alzi pure il volume. New York non si comanda da Washington».
Il presidente ha risposto con tono minaccioso e ironico: «Dire che devo alzare il volume è pericoloso per lui. Deve mostrare rispetto se vuole farcela. Io voglio che New York funzioni, ma non accetto lezioni da un comunista. Anche se, devo ammetterlo, è uno che sa parlare».
Una frase che tradisce più curiosità che disprezzo. Secondo fonti del New York Times, Trump in privato non lo sottovaluta affatto, anzi lo considera “un comunicatore brillante e pericolosamente carismatico”. Dopotutto, i due condividono più di un tratto: entrambi outsider, entrambi newyorkesi, entrambi convinti di essere l’unico volto autentico della loro parte politica.
Mamdani, però, non ha intenzione di farsi schiacciare dal confronto: «Collaborerò con il presidente se vorrà mantenere le promesse sui costi della vita. Ma se proverà a colpire la nostra città, saremo pronti a reagire».
E per reagire ha già predisposto una squadra di 200 avvocati, incaricata di difendere New York da eventuali tagli ai fondi federali o da provvedimenti giudicati discriminatori. È un messaggio politico ma anche un avvertimento giuridico: la città è pronta a resistere.
Nel frattempo, Mamdani continua a raccogliere consensi tra i giovani e le minoranze. Nei quartieri del Bronx e di Queensbridge il suo nome è diventato simbolo di speranza, anche se gli avversari lo accusano di “populismo di sinistra”. La sua agenda, dicono, rischia di svuotare le casse comunali. Ma lui replica che “la povertà costa più dell’assistenza”.
Non è un caso che Steve Bannon, ex stratega di Trump, lo abbia definito “il segnale che la politica populista è ormai trasversale”. Secondo Bannon, “Mamdani parla alla stessa pancia del Paese a cui si rivolge Trump, ma da sinistra. È la prova che la rabbia sociale non ha più colore politico”.
E mentre il nuovo sindaco promette di “rendere la città più giusta senza perderne l’anima”, il tycoon della Casa Bianca osserva con attenzione. Nonostante gli insulti pubblici, Trump sa che Mamdani può diventare un problema: un avversario capace di sfidarlo sul suo stesso terreno, quello della comunicazione diretta e della passione popolare.
A New York, intanto, le prime settimane di mandato si preannunciano incandescenti. Mamdani dovrà dimostrare di poter mantenere le promesse senza far saltare i conti. Trump, dal canto suo, medita di usare la città come campo di battaglia politica.
Una cosa, però, è certa: la guerra tra il magnate e il “sindaco socialista” è appena iniziata. E a New York, dove tutto è spettacolo, sarà uno show che il mondo intero guarderà con il fiato sospeso.







