Il sogno americano? Funziona solo per per gli amici miliardari di Donald Trump

Nel suo ultimo discorso da presidente, Joe Biden aveva avvertito: «In America sta nascendo un’oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza». Aveva ragione. Pochi mesi dopo, Donald Trump giurava da presidente circondato da un parterre di imprenditori hi-tech, finanzieri e tycoon della Silicon Valley. «Restituirò il potere al popolo americano» promise, ma a guadagnarci, dati alla mano, sono stati soprattutto i miliardari che sedevano a pochi metri da lui.

A distanza di dieci mesi dall’entrata in vigore del cosiddetto Big Beautiful Bill, la riforma fiscale che Trump ha sbandierato come “la più patriottica della storia americana”, il sogno americano si è rivelato un privilegio per pochi. Il rapporto pubblicato da Oxfam e presentato al Congresso dalla senatrice Elizabeth Warren parla chiaro: “La legge di Trump è uno dei più grandi trasferimenti di ricchezza verso l’alto mai registrati negli Stati Uniti”.

Secondo i dati, i dieci americani più ricchi hanno aumentato il proprio patrimonio complessivo di 698 miliardi di dollari in un solo anno. Sei di loro – Elon Musk, Larry Ellison, Jeff Bezos, Larry Page, Mark Zuckerberg e Sergey Brin – operano nel settore tecnologico. Ma ciò che li accomuna davvero non è la Silicon Valley, bensì l’intesa privilegiata con il presidente.

Musk, che con Tesla e SpaceX ha beneficiato di contratti pubblici miliardari e di una deregulation ambientale favorevole, è oggi l’uomo più ricco del mondo. Larry Ellison, fondatore di Oracle e storico finanziatore repubblicano, ha visto crescere il valore delle sue azioni dopo aver ottenuto commesse strategiche per la gestione dei dati federali. Jeff Bezos, pur diviso tra Amazon e le tensioni con la Casa Bianca, ha goduto dei benefici fiscali del nuovo regime societario. E poi Larry Page e Sergey Brin, i “padri” di Google, che hanno visto alleggerirsi l’imposizione sui profitti derivanti dai brevetti internazionali. Mark Zuckerberg, infine, dopo le polemiche sulle fake news e la stretta sui social, ha riallacciato i rapporti con Washington grazie al peso dei suoi canali elettorali.

Il risultato è un Paese in cui la disuguaglianza è ormai sistemica. La “famiglia più povera” dell’1% americano possiede oggi 987 volte la ricchezza della famiglia più benestante della fascia medio-bassa. La classe media, un tempo motore del sogno americano, è compressa tra inflazione e precarietà, mentre i giganti della tecnologia consolidano il proprio potere.

Il Big Beautiful Bill, approvato nel 2024 con una maggioranza repubblicana compatta, ha ridotto l’aliquota fiscale per le corporation dal 35% al 20%, consentendo alle aziende di riacquistare azioni proprie e aumentare i dividendi agli azionisti. Nel frattempo, la tassazione dei redditi medi è rimasta invariata, con un effetto di “ricchezza a cascata” che, nei fatti, non è mai avvenuto.

La concentrazione di potere economico non è più un tema teorico. Secondo il Bloomberg Billionaires Index, negli Stati Uniti ci sono oltre 3.000 miliardari, nove dei quali occupano stabilmente le prime posizioni globali. Un tempo entrare nel “club dei miliardari” significava superare i 100 miliardi di dollari. Oggi la soglia è 200. E sei posti su dieci di questa élite sono occupati da uomini che orbitano intorno alla Casa Bianca.

Elon Musk e Trump si sono incontrati più volte dopo le elezioni, tra il lusso di Mar-a-Lago e i summit economici di Palm Beach. Larry Ellison è stato ospite d’onore al gala per la rielezione. Jeff Bezos, pur in attrito con il tycoon sul piano personale, non ha esitato a sostenere alcune politiche commerciali che hanno favorito il suo colosso. Persino Mark Zuckerberg, che durante il Russiagate aveva mantenuto le distanze, ha ritrovato terreno comune nella promessa di un “Internet libero da vincoli europei”.

Intanto, Trump si vanta del “boom americano”. I dati del Tesoro, però, raccontano un’altra storia: le entrate fiscali complessive sono diminuite del 14%, il debito pubblico ha superato i 35 trilioni di dollari e il costo della vita è cresciuto più della media dei Paesi OCSE. Le aziende, invece, registrano profitti record e ricomprano le proprie azioni a ritmi mai visti.

La verità è che il sogno americano, oggi, è un club esclusivo dove si entra su invito. E l’invito lo firma Donald Trump. Mentre i lavoratori arrancano tra inflazione e stipendi stagnanti, i grandi della tecnologia si dividono contratti, sgravi e favori, alimentando un nuovo sistema feudale dell’innovazione. Per Biden, quel che resta è una frase che suona come una profezia: “In America non sta vincendo il popolo. Stanno vincendo i pochi che possiedono tutto”. E per ora, a giudicare dai numeri, aveva visto giusto.