Influencer che reclutano altri influencer. Contenuti che sembrano opinione, esperienza personale, curiosità culturale, e invece sono parte di un disegno organizzato. L’informazione – non solo quella online – che scivola nel marketing, poi diventa propaganda, infine strumento geopolitico. Se la Russia ha inventato le fabbriche di bot e i troll seriali sui social, la Repubblica Popolare Cinese ha scelto una strada diversa, più raffinata e più difficile da individuare. Il modello della propaganda aggressiva, riconoscibile, spesso caricaturale, non è più quello dominante. Oggi la macchina di influenza globale cinese lavora sulla credibilità altrui.
Non è un’operazione improvvisata. È una struttura costruita per penetrare in settori diversi, in Paesi diversi, in pubblici diversi. Non più post tutti uguali e slogan ripetuti, ma creator con una faccia, una storia, una rispettabilità, pagati per introdurre narrazioni precise dentro discorsi apparentemente neutrali. Lo scopo non è necessariamente convincere, ma insinuare dubbi. Far sembrare alcune letture “ragionevoli”. Spostare il tono della conversazione. Non propaganda brutale, ma influenza lenta.
Un agente d’influenza cinese racconta di aver già “reclutato” diversi influencer in Giappone, negli Stati Uniti e perfino in Italia. Non si parla di star miliardarie dei social, ma di profili solidi, spesso rispettati nel proprio settore, capaci di costruire fiducia nel pubblico. Il compito dichiarato? Promuovere “la bellezza della cultura tradizionale cinese”. Quello vero? Dipende. Con alcuni si lavora sulla narrazione identitaria. Con altri, come nel caso di Xu, l’obiettivo diventa più diretto: parlare di una possibile guerra nello Stretto di Taiwan, enfatizzando però le carenze militari taiwanesi, alimentando confusione e sfiducia. E, magari, spostare poi il discorso sull’Ucraina, raccontandola come una “resistenza fallimentare”.
Il punto cruciale della nuova guerra cognitiva cinese è che non cerca più figure schierate. Non punta sui grandi nomi già percepiti come filocinesi. Non chiede dichiarazioni aggressive. Non cerca megafoni, ma sussurri credibili. Ai grandi testimonial preferisce gli esperti di medio livello, le figure solide ma non milionarie, gli influencer che lavorano, magari faticando, e che potrebbero essere attratti da budget che vengono descritti come enormi. I contenuti sono studiati per non apparire manipolatori: non falsi smaccati, non propaganda plateale. Piuttosto opinioni, analisi “ragionevoli”, riflessioni critiche. Non a caso, quando Xu chiede quali siano i limiti, la risposta arriva chiara: si può perfino criticare un po’ il Partito comunista – “piccole critiche che aiutano il quadro generale” – ma Xi Jinping non si tocca.
Accanto alle operazioni sottili ci sono poi quelle più rumorose, organizzate e strutturate. In Asia è emerso un caso emblematico: dopo che un senatore delle Filippine ha presentato le prove dei pagamenti dell’ambasciata cinese a Manila verso l’agenzia filippina InfinitUs Marketing Solutions, il media d’inchiesta Rappler è riuscito a risalire a un’operazione molto più ampia. Non semplice propaganda, ma un sistema completo di influenza digitale.
L’indagine racconta la costruzione di un vero e proprio “esercito di troll”: profili falsi con identità credibili – insegnanti, rider, studenti, lavoratori comuni – progettati per apparire autentici. Account con storie personali, foto coerenti, interazioni strutturate. Non semplici avatar, ma identità simulate. La loro funzione era diffondere contenuti pro-Pechino, rafforzando narrazioni funzionali alla Repubblica Popolare: difesa dei “diritti cinesi”, costruzione di un’immagine di vittimismo nazionale, polarizzazione dei dibattiti, critica selettiva di Paesi come il Giappone.
Non solo post, ma istruzioni dettagliate. Linee guida su come scrivere, cosa pubblicare, come rispondere, come sembrare spontanei. Propaganda che mima la vita quotidiana. Opinione che diventa messaggio politico. Un lavoro programmato e scientifico, che dimostra quanto questa guerra cognitiva sia ormai un fronte strategico.
La novità è tutta qui: non c’è più solo il rumore delle campagne evidenti, ma un flusso silenzioso di contenuti che entrano nelle timeline e nei notiziari attraverso volti credibili. L’influenza non arriva gridando, arriva sorridendo. E quando funziona, non sembra propaganda. Sembra solo realtà.







