Donald Trump non sopporta i giornalisti. Non tollera i comici che ridono di lui e li fa licenziare. I regimi dittatoriali non appena arrivano al potere, occupano le tv o le spengono a colpi di censura. Oggi i satrapi moderni hanno trovato la scorciatoia: chiudere i social, silenziare i fastidiosi, far sparire le voci libere.
E di satrapi ne abbiamo già visti. Putin ha fatto uccidere giornalisti scomodi e oggi vorrebbe perfino processare due cronisti italiani colpevoli soltanto di raccontare, sul campo, l’aggressione russa all’Ucraina. In Italia, in altri tempi, un giornalista come Mino Pecorelli pagò con la vita la sua penna scomoda. È la lezione amara di sempre: chi osa disturbare il manovratore diventa un bersaglio.
Trump, intanto, si dedica al suo sport preferito: insultare e delegittimare, spacciando bugie clamorose per verità. Alla Casa Bianca, durante una conferenza stampa, ha bollato una giornalista come “odiosa” e ha rifiutato di rispondere a una sua domanda. Una domanda normale, non ostile. Poco importava: la colpa era sua, quella di essere lì, di fare il suo mestiere.
La cosa più grave è che nessuno dei giornalisti in sala ha espresso solidarietà. Nessuno ha reagito. E così ci abituiamo alla tracotanza dei potenti, alla maleducazione. E intanto ci si convince che la verità non conti più della menzogna. Trump, del resto, è ormai uno spacciatore seriale di bugie, capace di costruire realtà parallele come Putin che accusa l’Ucraina di aver attaccato la Russia o il presidente cinese che riscrive la storia della seconda guerra mondiale.
Giorgia Meloni rifugge la stampa come un autocrate in miniatura. Da anni niente conferenze, niente domande: solo video patinati e interviste compiacenti alla tv di Stato asservita e compiacente. Governa a colpi di propaganda, trasformando il confronto democratico in un monologo di regime. Un premier che non risponde ai giornalisti non è forte, è fragile, impaurito e prigioniero di se stesso.
E molto più in piccolo in Calabria assistiamo in questa campagna elettorale per le elezioni regionali anticipate, ai continui attacchi alla libera informazione che osa raccontare, scrivere, criticare. Quindi, o sei servo sciocco e pagato, o meriti gli insulti pubblici. Anche qui il potere che detesta chi racconta i fatti e non si accomoda alla corte dell’imperatore.
La verità, oggi, sembra non esistere più. Basta guardare alla recentissima cronaca dei cortei pro Palestina: sono stati una grande prova di democrazia, con decine di migliaia di persone in piazza a manifestare pacificamente. Ma tv e giornali di destra hanno preferito puntare l’obiettivo solo su qualche tafferuglio (probabilmente organizzato), qualche scontro isolato, per oscurare il successo della mobilitazione. Anche questa è censura: sottile ma non meno tossica.
Il rischio è che ci si abitui anche a questo: a considerare normale che chi detiene il potere possa piegare i fatti, manipolare le immagini, silenziare chi non si allinea. Oggi tocca a un giornalista, domani a un corteo, dopodomani a chiunque osi parlare.
E quando scopriremo di non avere più libertà di parola, sarà troppo tardi. Resterebbe solo un incubo: quello di discutere, a luci spente, su chi abbia cominciato. E di avere una stampa asservita e sottomessa, agli ordini del potere di turno.