L’Europa respinge il «piano» Usa-Russia sull’Ucraina: «Non può essere una capitolazione, dobbiamo essere al tavolo e non spettatori della resa»

Donald Trump

Ancora una volta l’Europa scopre di essere l’anello debole di un negoziato che si svolge sulla sua frontiera e che potrebbe ridisegnare la sicurezza del continente. Quando la bozza del piano di pace in 28 punti, discussa tra Stati Uniti e Russia, è diventata di dominio pubblico, nei corridoi di Bruxelles è circolata una sola domanda: perché l’Unione europea non è stata coinvolta? La risposta non c’è. La consapevolezza, invece, è chiara: il documento, così com’è, è per l’Ue politicamente e strategicamente irricevibile.

La bozza, negoziata da Steve Witkoff per la Casa Bianca e da Kirill Dmitriev per il Cremlino, prevede per Kiev concessioni radicali. Il Paese dovrebbe cedere ulteriori territori, accettare un parziale disarmo e rinunciare alla possibilità di colpire in profondità le forze russe. Per Bruxelles significherebbe sancire la vittoria dell’aggressore e trasformare il trattamento riservato all’Ucraina in un precedente pericoloso. Per questo, all’arrivo al Consiglio Affari esteri, l’Alta commissaria Ue Kaja Kallas ha ribadito con fermezza che una pace credibile non può nascere alle spalle dell’Europa e, soprattutto, senza il consenso dell’Ucraina: «Non sono a conoscenza di alcun coinvolgimento europeo nella costruzione di questo piano. Ogni percorso verso la pace deve prevedere che l’Europa e Kiev siano a bordo».

Il punto debole dell’ipotesi russo-americana è evidente a tutti: non contempla alcuna concessione da parte di Mosca. Kallas lo ha detto senza giri di parole: «Dobbiamo ricordare che in questa guerra esiste un aggressore e una vittima. Non abbiamo sentito parlare di alcun impegno russo». Una presa di posizione ripresa anche dai ministri degli Esteri arrivati a Bruxelles. Il francese Jean-Noël Barrot è stato netto: «Questo piano non può essere una capitolazione dell’Ucraina. Gli ucraini rifiuteranno sempre qualsiasi forma di resa». La Francia, insomma, teme che un negoziato chiuso sulla base delle condizioni di Mosca si trasformi in una resa mascherata, costruita per congelare il conflitto lasciando la Russia in posizione dominante.

Copenaghen, che ha la presidenza di turno dell’Ue, ha indicato un altro punto cruciale: la questione territoriale. Il ministro danese Lars Lokke Rasmussen ha ricordato che l’ipotesi di cedere territori non può neppure essere discussa senza la presenza di Kiev e ha ammonito: «Bisogna evitare qualsiasi situazione in cui finiamo per accettare, anche indirettamente, le richieste di Putin». Nessuna linea rossa può essere varcata senza il consenso della parte che subisce l’invasione.

Ancora più diretto il ministro polacco degli Esteri Radoslaw Sikorski, secondo cui la priorità non può essere limitare le capacità difensive ucraine, bensì «ridurre la capacità della Russia di nuocere». La Polonia, che vede nella stabilità ucraina una garanzia di sicurezza nazionale, teme un piano che smantelli l’esercito di Kiev, riducendolo a una forza priva di autonomia e costretta a convivere con la minaccia permanente delle forze russe ammassate oltre confine.

Dalla Germania è arrivato un messaggio diplomatico, ma altrettanto fermo. Il ministro Johann Wadephul ha ribadito che «tutti i negoziati relativi a un cessate il fuoco e qualsiasi ulteriore sviluppo pacifico dell’Ucraina possono essere discussi solo con l’Ucraina». Ha aggiunto che l’Europa dovrà essere parte integrante del processo e che «prima la Russia deve porre fine alla sua aggressione». Berlino, insomma, vuole evitare che si crei l’illusione di una tregua mentre le condizioni sul terreno restano immutate.

La posizione italiana, espressa da Antonio Tajani, è stata più prudente. Il ministro ha definito la bozza «indiscrezioni giornalistiche» e ha evitato giudizi netti: «Quando il piano sarà presentato, si farà un’analisi approfondita». Però ha ribadito un punto politico essenziale: l’Europa dovrà avere un ruolo nella trattativa, perché un eventuale ritiro delle sanzioni contro la Russia non può avvenire senza il consenso dei Ventisette. «L’Ucraina è una barriera di sicurezza per l’Europa — ha ricordato — e una soluzione senza l’Europa non sarebbe sostenibile».

L’impressione generale è che questo piano abbia riaperto un nodo rimasto irrisolto fin dall’inizio della guerra: gli Stati Uniti possono negoziare un equilibrio con la Russia prescindendo dall’Europa? E fino a che punto Kiev può fidarsi di un accordo concepito da due potenze le cui priorità strategiche non coincidono con quelle ucraine? Le capitali europee temono che una pace costruita secondo i desideri del Cremlino, anche se sostenuta da Washington, finisca per congelare il conflitto a vantaggio di Mosca e per lasciare l’Ue esposta a una crisi di sicurezza permanente.

È questa la frase che molti ieri ripetevano nei corridoi di Bruxelles: «Il piano non esiste senza Kiev». E se davvero si vuole costruire una pace che meriti quel nome, l’Europa — e non solo gli Stati Uniti — dovrà essere al centro del tavolo, non ai margini. In caso contrario, rischia di diventare la destinataria involontaria di un accordo che non ha contribuito a scrivere ma di cui pagherebbe il prezzo maggiore.