In un angolo fragile d’Europa, stretto tra Ucraina e Romania, la Moldova ha riscritto il proprio destino. Le elezioni legislative si sono concluse con la vittoria del Partito d’Azione e Solidarietà (Pas) della presidente Maia Sandu, che ha conquistato oltre il 50% dei voti, respingendo con forza l’avanzata del fronte filorusso.
È una vittoria che va ben oltre i confini di Chișinău: per Bruxelles rappresenta la dimostrazione che la democrazia può resistere anche sotto assedio, che la propaganda russa può essere battuta, e che il progetto europeo, se sostenuto con convinzione, può ancora ispirare speranza.
«Nessun tentativo di seminare paura o divisione ha potuto spezzare la tua determinazione. Hai scelto Europa, democrazia, libertà. La nostra porta è aperta e saremo al tuo fianco a ogni passo», ha commentato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, congratulandosi con Sandu.
Un messaggio che riassume il senso politico di questa consultazione: una sfida geopolitica travestita da voto nazionale, che Mosca ha tentato in ogni modo di manipolare. Nelle settimane precedenti al voto, si sono moltiplicati i casi di disinformazione, i cyberattacchi e i tentativi di corruzione elettorale. In Transnistria, la regione separatista sostenuta dal Cremlino, si sono registrati movimenti sospetti di milizie e trasferimenti organizzati di votanti verso i seggi “speciali”.
Eppure, la Moldova non ha ceduto. Nella capitale, Chișinău, la tensione si è respirata fino all’ultimo voto. I risultati sono arrivati solo a tarda notte: il Pas ha superato il 50%, staccando di ventisei punti il Blocco Patriottico filorusso guidato da Igor Dodon, fermo al 24%. Un margine sufficiente a garantire una solida maggioranza in Parlamento e, soprattutto, a blindare la rotta verso Bruxelles.
Il segretario del partito, Igor Grosu, lo ha detto senza giri di parole: «Questa è una vittoria di chi non si è lasciato comprare. Centinaia di milioni sono stati spesi per corrompere e manipolare. Ma non ci siamo venduti. Abbiamo scelto il futuro».
La giornata del voto è stata segnata da una serie di allarmi bomba nei consolati moldavi in Italia e in altri Paesi europei. Falsi avvertimenti, secondo le autorità, ma abbastanza per creare panico e disorientare gli elettori all’estero, che rappresentano quasi un quinto del corpo elettorale. La diaspora, in particolare quella in Italia, è stata decisiva: il voto dei moldavi emigrati ha spostato gli equilibri e consolidato la vittoria di Sandu.
Il clima era così teso che il Pas ha tenuto segreto fino all’ultimo l’indirizzo del raduno post-elettorale, svelandolo solo nel tardo pomeriggio. La festa, sobria ma sentita, si è svolta in una via dal valore simbolico: Strada 31 agosto 1989, dedicata al ritorno della lingua romena e dell’alfabeto latino dopo decenni di dominio sovietico. «Non è un party, è una rinascita», ha detto una giovane volontaria, stringendo una bandiera europea.
Ma la tensione resta alta. I filorussi di Dodon non riconoscono la sconfitta e parlano di brogli. “Una manipolazione orchestrata da forze straniere”, ha tuonato l’ex presidente, che in passato sedeva accanto a Vladimir Putin durante le parate del 9 maggio sulla Piazza Rossa.
Per Sandu, invece, è la consacrazione di un percorso iniziato nel 2020, quando è diventata la prima donna alla guida del Paese. «Ho votato per la pace e per un futuro europeo – ha detto al momento del voto –. Invito tutti a non vendere la nostra patria per pochi lei. La nostra dignità non ha prezzo».
La presidente conosce bene i rischi. Sa che il Cremlino considera la Moldova un pezzo strategico del suo mosaico d’influenza post-sovietica. Da tempo, Mosca alimenta tensioni nella Transnistria, ospitando truppe russe “di pace” e finanziando i partiti locali. Negli ultimi mesi, secondo i servizi di sicurezza moldavi, sono state intercettate cellule organizzate per generare caos durante le elezioni: agitatori, disinformatori, hacker.
Nonostante tutto, la partecipazione ha toccato livelli record, con un’affluenza del 51,9%. Una mobilitazione che riflette la consapevolezza di trovarsi davanti a una scelta di campo, non a un semplice voto amministrativo. «Abbiamo votato per i nostri figli, perché non debbano più scappare all’estero per vivere dignitosamente», racconta Valentina Hamuraru, 64 anni, appena uscita da un seggio di Chișinău.
Dall’altra parte, l’entusiasmo della nuova generazione: «Vogliamo l’Europa qui, non vogliamo più cercarla altrove», dice Ana Rosca, 29 anni, mostrando l’adesivo “Am votat!”.
Bruxelles osserva con attenzione e soddisfazione. L’Alto rappresentante per la Politica estera, Kaja Kallas, ha sottolineato: «Nessuna forza può fermare un popolo che sceglie la libertà. La Moldova ha dimostrato che il futuro dell’Europa non si costruisce solo nei palazzi, ma nelle urne».
Il significato politico del voto è profondo: non solo un passo verso l’adesione all’UE, ma anche una sconfitta diretta per il Cremlino. Dopo anni di campagne di disinformazione e infiltrazioni economiche, la Russia vede ridursi la propria influenza in un’area che considerava “cuscinetto naturale”.
La Moldova diventa così, insieme all’Ucraina e alla Georgia, una nuova frontiera del progetto europeo. La presidente Sandu lo sa e non nasconde l’ambizione: «Entrare nell’Unione non sarà facile, ma abbiamo dimostrato di saper resistere. Oggi comincia una nuova era».
L’immagine finale è quella di una piccola capitale che, nella notte, sventola bandiere blu e gialle, tra canti, lacrime e prudenza. Perché la vittoria di Sandu non è solo politica: è il simbolo di un continente che, nonostante le minacce e la fatica, continua a scegliere la libertà.