Storia, occupazione e tragedia: come Hamas ha conquistato Gaza

Gaza

Nel cuore del Medio Oriente, tra le sabbie di una terra contesa e il silenzio assordante della diplomazia internazionale, si consuma una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. La Striscia di Gaza è oggi un inferno a cielo aperto: migliaia di bambini uccisi sotto le bombe, intere famiglie sepolte tra le macerie, una popolazione stremata dalla fame e dalla guerra. Ma per comprendere fino in fondo questa tragedia è necessario uno sguardo lungo, che parta dalle radici storiche della questione palestinese, attraversi il fallimento del processo di pace e arrivi alla presa di potere di Hamas, gruppo islamista armato che da quasi vent’anni governa con il pugno di ferro l’enclave costiera.

La storia moderna del popolo palestinese è segnata dalla frammentazione territoriale, dall’occupazione militare e dalla mancanza di sovranità. Dopo la fine del mandato britannico in Palestina e la nascita dello Stato di Israele nel 1948, centinaia di migliaia di arabi palestinesi furono costretti all’esilio. La Nakba, la “catastrofe” secondo la narrazione palestinese, segna il punto di inizio di un conflitto mai davvero risolto. I territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza vennero occupati da Giordania ed Egitto, prima di finire sotto il controllo israeliano dopo la guerra del 1967.

Con gli Accordi di Oslo del 1993 si tentò di porre le basi per una soluzione negoziata: nacque l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), riconosciuta come interlocutore legittimo per la creazione di un futuro Stato palestinese. Ma quella speranza si è lentamente infranta contro la realtà delle colonie israeliane in Cisgiordania, la divisione politica tra fazioni palestinesi e il moltiplicarsi delle crisi regionali.

Hamas nasce nel 1987 durante la Prima Intifada, come braccio politico e militare dei Fratelli Musulmani in Palestina. Diversamente da Fatah, il movimento laico e nazionalista di Yasser Arafat, Hamas si fonda su una ideologia islamista radicale e sulla convinzione che la Palestina “dal fiume al mare” debba essere liberata anche con la lotta armata. Per anni ha guadagnato consenso popolare offrendo servizi sociali, assistenza sanitaria e scuole nei campi profughi e nei quartieri più poveri, laddove l’ANP era assente o inefficiente.

Conflitto israelo – palestinese: bombardamento israeliano contro la caffetteria Lorence a Deir al-Balah, all’alba del 466° giorno di guerra

Nel 2006 Hamas vinse a sorpresa le elezioni legislative palestinesi, grazie al voto di protesta contro la corruzione percepita di Fatah. Ma la coabitazione politica durò poco: nel 2007, dopo mesi di tensioni e scontri armati, Hamas prese il controllo militare della Striscia di Gaza, estromettendo con la forza l’Autorità Nazionale Palestinese. Da allora, il piccolo territorio costiero è diventato un’entità politica separata, assediata da Israele e soggetta a un blocco economico durissimo, ma anche governata in modo autoritario dal movimento islamista.

La comunità internazionale è profondamente divisa su come considerare Hamas. L’Unione Europea, gli Stati Uniti, Israele e altri Paesi lo definiscono un’organizzazione terroristica, responsabile di attacchi suicidi, lanci di razzi contro civili israeliani e di usare la propria popolazione come scudo umano. Allo stesso tempo, una parte dell’opinione pubblica nei Paesi arabi e musulmani lo vede come un movimento di resistenza contro l’occupazione israeliana.

Il bilancio, tuttavia, è drammatico. La strategia militare di Hamas, fatta di tunnel sotterranei, arsenali nascosti e attacchi improvvisi, ha provocato reazioni devastanti da parte di Israele, con operazioni militari che hanno colpito duramente la popolazione civile. A pagarne il prezzo sono soprattutto i più vulnerabili: secondo le agenzie umanitarie, nella Striscia di Gaza vivono oggi oltre 2 milioni di persone, metà delle quali sotto i 18 anni, con accesso limitato all’acqua potabile, all’elettricità e alle cure mediche.

Milioni di palestinesi vivono oggi una duplice oppressione: da una parte l’occupazione e il blocco israeliano, dall’altra un governo autoritario che reprime il dissenso, censura i media e impedisce ogni forma di pluralismo. La società civile palestinese, nonostante le difficoltà, continua a esistere, ma è sempre più schiacciata tra la radicalizzazione e la disperazione.

Palestinians injured in Israeli attacks are brought to Al Aqsa Martyrs Hospital for medical treatment in as the attacks continue in Deir al Balah, Gaza on December 24, 2023. Photo by Omar Ashtawy apaimages//APAIMAGES_APA0104/Credit:Omar Ashtawy / APA/SIPA/2312251211

La Striscia di Gaza, in questo senso, è l’emblema di un conflitto congelato ma sanguinoso, in cui le vite umane vengono sacrificate in nome di ideologie, strategie militari e calcoli geopolitici. Senza un processo di riconciliazione interno tra le fazioni palestinesi, senza un impegno serio della comunità internazionale per una pace giusta e duratura, e senza il riconoscimento dei diritti di sicurezza di Israele ma anche dei diritti nazionali dei palestinesi, la spirale di violenza continuerà.

Il popolo palestinese non è Hamas. È una comunità complessa, plurale, che chiede libertà, dignità, autodeterminazione. Ma è oggi prigioniero non solo di un conflitto con Israele, ma anche di un’organizzazione armata che ha trasformato Gaza in una trincea perenne. L’orrore che vediamo ogni giorno non è solo il fallimento della politica, ma anche il grido inascoltato di un popolo che da troppo tempo non ha voce.