“La guerra finirà in un giorno.” Lo aveva promesso. O meglio, l’aveva scritto, detto, postato, sbandierato. L’uomo dal ciuffo arancione più famoso del pianeta si era candidato a diventare il pacificatore del secolo. Ma quando Trump ha finalmente chiamato Putin, nella stanza ovale del destino si è sentito solo l’eco di un telefono che piange. Sì, come quello di Domenico Modugno: “piange il telefono, perchè non hai pietà…”. I due leader si sono parlati. Trump ha descritto la telefonata come “eccellente”. Putin l’ha definita “molto informativa e molto franca”. Una sinfonia di buone intenzioni, peccato che lo spartito fosse per orchestra muta.
Dissonanze strategiche
Trump, con l’entusiasmo tipico da venditore in saldo, ha annunciato su Truth Social che Russia e Ucraina “inizieranno immediatamente i negoziati” e che la guerra finirà. Ma dove ho già sentito questa frase?!? Putin, invece, ha gentilmente smontato il castello di sabbia dichiarando che Mosca è pronta “a lavorare su un memorandum”, ma solo a certe condizioni. In poche parole, l’Ucraina deve tornare sotto l’ombrello del Cremlino. L’ombrello, però, è bucato e sporco di ambizioni imperiali.
Quando la realtà supera la favoletta
Se vivessimo in un romanzo d’appendice andrebbe tutto bene. Ma urge tornare alla cruda realtà, nella quale unasoluzione alla guerra in Ucraina non sembra affatto vicina. E in effetti, la tanto sospirata telefonata ha prodotto meno di una raccomandata a Babbo Natale: zero pace… anche se tante rinnovate illusioni.
JD Vance e il balletto della disillusione
Per capire cosa pensa davvero l’America basta ascoltare JD Vance, vicepresidente ombra e portavoce del disincanto: “Se non si ottiene nulla, lasciamo perdere”. Tradotto: se Putin non è serio, arrangiatevi. Una frase che suona come un colpo di telefono messo giù con troppa fretta, senza salutare. E intanto l’Ucraina? Resta appesa a un filo, tra una diplomazia a orologeria e una guerra che nessuno, tranne chi la subisce, sembra voler davvero concludere.
E’ La diplomazia del pollo fritto
Trump, nel suo aggiornamento social, ha accuratamente evitato di nominare le sanzioni europee. Al contrario, ha proposto “scambi commerciali su larga scala”, quasi che un McChicken potesse fare più della NATO. Benvenuti nella diplomazia del Big Deal, che finora con Putin ha funzionato quanto il tasto “reset” di un vecchio Nokia.
L’arte del dire tanto, facendo poco
La telefonata tra Trump e Putin assomigliava ad una di quelle serate fra vecchi amici, in cui si favoleggia di cambiare il mondo ascoltando Bob Dylan… ma poi si finisce a ordinare l’ennesima pizza. Nessuna vera svolta, solo retorica servita con salsa populista e un contorno di ambiguità geopolitica. E mentre i leader europei stringono i denti e studiano nuove sanzioni, a Washington si inizia a sentire il ritornello stanco: “Non è la nostra guerra. È quella di Joe Biden. Di Vladimir Putin. Non la nostra.” Come a dire: Piange il telefono, ma noi non rispondiamo più.
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