Donald Trump ha lanciato due nuove iniziative clamorose: da una parte, propone dazi sui film stranieri per difendere Hollywood in nome della “sicurezza nazionale”; dall’altra, vuole riaprire Alcatraz, il famigerato carcere federale, per rinchiudere “i criminali più spietati e violenti d’America”.
Si tratta di due nuove mosse all’interno della sua politica “America First”, tra guerra commerciale e campagna “law and order”, quest’ultima rivolta soprattutto contro l’immigrazione clandestina. Già in passato, Trump aveva indicato Guantanamo — la prigione per sospetti terroristi a Cuba — come luogo adatto per detenere migranti irregolari. Ma ora punta su un altro simbolo forte: Alcatraz.
Conosciuto come The Rock, il carcere si trova su un’isola nella baia di San Francisco. Reso celebre da film come Fuga da Alcatraz e The Rock, fa parte dell’immaginario collettivo americano come icona della giustizia implacabile. “È un’idea che ho avuto, è un simbolo di legge e ordine”, ha detto Trump ai giornalisti sull’Air Force One, ordinando al Dipartimento di Giustizia e ad altre agenzie “di allargare e ricostruire Alcatraz”. Il carcere, chiuso dal 1963, è noto per la sua sicurezza (vi fu detenuto anche Al Capone). Anche solo evocarlo serve a Trump per mostrarsi come difensore della sicurezza pubblica.
Contemporaneamente, Trump ha annunciato “dazi del 100% su tutti i film che arrivano nel nostro Paese e che sono prodotti in Paesi stranieri”, e ha dato ordine al Dipartimento del Commercio e al Rappresentante per il Commercio USA di iniziare “immediatamente” l’iter. Il segretario al Commercio Howard Lutnick ha subito confermato: “Ci stiamo lavorando”.
Ma non tutti sono d’accordo. Un consigliere del governatore californiano Gavin Newsom ha risposto che Trump “non ha alcuna autorità per imporre tariffe in base all’International Economic Emergency Powers Act”.
Trump ha motivato la sua scelta con un post su Truth Social: “L’industria cinematografica americana sta morendo molto velocemente. Altri Paesi stanno offrendo ogni sorta di incentivi per attirare i nostri registi e studi cinematografici lontano dagli Stati Uniti. Hollywood e molte altre aree degli Stati Uniti sono devastate”. A suo giudizio, “questo è uno sforzo concertato da parte di altre nazioni e, quindi, una minaccia per la sicurezza nazionale. È, oltre a tutto il resto, un’operazione di comunicazione e propaganda!”. Per contrastare tutto ciò, ha promesso film “made in America, again!” e ha nominato tre attori simbolo come suoi inviati speciali: Jon Voight, Mel Gibson e Sylvester Stallone.
La proposta ha generato preoccupazione tra le major cinematografiche. Negli ultimi anni, molte produzioni hollywoodiane si sono spostate all’estero — in Canada, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, ma anche in Italia, Germania e Ungheria — per risparmiare sui costi grazie a sconti fiscali. Tuttavia, Trump non ha chiarito se i dazi si applicheranno anche ai film prodotti all’estero da società americane, come Deadpool & Wolverine, Wicked e Il Gladiatore II. Inoltre, non è chiaro se la misura riguarderà anche i film distribuiti in streaming (come su Netflix), né come verranno effettivamente calcolati i dazi.
Timothy Richards, fondatore della catena europea di cinema Vue, ha sollevato una domanda cruciale: “È la provenienza dei soldi? La sceneggiatura, il regista, gli attori, dove è stato girato?” Anche gli Studios americani si pongono lo stesso interrogativo, consapevoli che — proprio come le auto — i film sono spesso il risultato di un processo globale, con parti girate in vari Paesi e post-produzione fatta negli Stati Uniti.
Nel mezzo di questo caos, si aggiunge anche un cambio ai vertici della sicurezza nazionale. Dopo lo scandalo “chatgate”, Trump ha annunciato che Mike Waltz sarà “promosso” ad ambasciatore USA all’ONU, pur dicendo di non aver perso fiducia in lui. Nel frattempo, Marco Rubio assume l’interim e tra i nomi per la successione spunta Stephen Miller, figura chiave delle politiche migratorie più dure dell’ex presidente.
Infine, Trump ha rilanciato una vecchia provocazione: l’idea di annettere la Groenlandia, anche con la forza. In un’intervista a NBC, ha dichiarato: “Non lo escludo – Non dico che lo farò, ma non escludo nulla”. E ha aggiunto: “Abbiamo un disperato bisogno della Groenlandia”, sottolineando il suo valore strategico per la “sicurezza internazionale”. Ha anche detto: “La Groenlandia è composta da una popolazione molto piccola, di cui ci prenderemo cura, e la ameremo, e tutto il resto”, concludendo che, pur non ritenendolo probabile, “la possibilità esiste certamente”.