L’intelligenza artificiale (IA) sta già trasformando la Pubblica Amministrazione italiana. Secondo una nuova analisi realizzata da Bigda per FLP (Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche), il 57% dei dipendenti pubblici è oggi coinvolto, in misura diversa, nell’utilizzo di tecnologie basate sull’IA. Una cifra che, tradotta in numeri assoluti, significa quasi 1,9 milioni di lavoratori.
Ma cosa significa davvero «coinvolgimento»? Per l’80% di questi dipendenti si parla di complementarità: l’intelligenza artificiale è percepita come uno strumento utile, che affianca il lavoro umano semplificando processi e migliorando l’organizzazione. Tuttavia, per il 12% dei lavoratori il rischio è ben più concreto: potrebbero essere sostituiti dalla tecnologia, soprattutto in quei settori caratterizzati da mansioni ripetitive e meno specializzate.
La sfida: aggiornare le competenze per non perdere posti di lavoro
«Le mansioni più semplici non sopravviveranno all’arrivo dell’IA – spiega Marco Carlomagno, segretario generale di FLP – ma questo non significa automaticamente perdere il posto. Serve una strategia formativa seria, che punti su upskilling e reskilling per accompagnare la transizione digitale della PA».
L’idea è chiara: non servono nuove assunzioni esterne, ma occorre valorizzare le risorse già presenti nella macchina amministrativa, formandole per ricoprire ruoli emergenti come digital media manager, analisti dei dati, esperti in servizi digitali e comunicazione.
Dove l’IA incide di più (e dove meno)
L’impatto dell’intelligenza artificiale varia molto tra i settori:
- Nell’istruzione e nella ricerca, la sinergia tra IA e lavoratori supera il 91%;
- Nel settore sanitario, invece, solo il 41% dei dipendenti sperimenta una reale integrazione positiva;
- Nelle funzioni centrali dello Stato, il rischio di sostituzione raggiunge il 47%, segno che la trasformazione in atto è forte, ma anche potenzialmente critica.
IA nella Pubblica Amminstrazione: cosa si aspettano i dipendenti pubblici
L’indagine ha cercato anche di capire quali siano gli obiettivi prioritari secondo chi lavora ogni giorno nella PA. Al primo posto, con il 42%, emerge la volontà di migliorare l’efficienza operativa. Seguono il potenziamento dell’analisi dei dati (24%) e il miglioramento dell’accessibilità ai servizi pubblici per cittadini e imprese (18%).
IA nella PA: cosa ne pensano i cittadini?
La ricerca Bigda ha analizzato anche il sentiment online attraverso 20.000 menzioni su social, forum, blog e notizie digitali. Il risultato è una fotografia articolata:
- 45% dei commenti esprime un’opinione positiva, riconoscendo all’IA un ruolo chiave nella modernizzazione della PA;
- Il 35% resta neutrale o in attesa di risultati tangibili;
- Il 20%, invece, manifesta preoccupazioni soprattutto per due motivi: privacy e occupazione.
Chatbot promossi, privacy bocciata
Se l’opinione pubblica sembra apprezzare l’uso dell’IA per l’automazione dei processi (60% di commenti positivi) e per la semplificazione dei servizi (50%), la fiducia crolla sulla questione protezione dei dati personali: una persona su due teme un utilizzo improprio delle informazioni e il rischio concreto di sorveglianza o abusi.
IA nella Pubblica Amministrazione: più moderna, ma anche più giusta
Alla luce dei dati emersi, l’intelligenza artificiale si conferma uno strumento potente e trasformativo per il settore pubblico. Ma, come sottolinea FLP, l’innovazione non può prescindere dalla centralità della persona. La sfida è rendere la PA più efficiente, senza sacrificare il valore del lavoro umano e i diritti dei cittadini, a partire dalla privacy e dall’equità.
In conclusione, la formazione resta il vero perno per evitare che la transizione verso la digitalizzazione crei nuove disuguaglianze. L’IA può diventare un’alleata preziosa per una Pubblica Amministrazione più smart, trasparente e vicina alle persone. Ma serve coraggio politico, visione strategica e investimenti mirati per realizzare una trasformazione sostenibile e inclusiva.