Campo lungo. Lentezza da fine del tempo. Un’auto elettrica arrugginita attraversa l’ex autostrada A1, ora sepolta sotto una colata di sabbia rossa. In sottofondo, le sirene anti-calore suonano ogni ora esatta. Il cielo non è più blu. È rame fuso.
Mi chiamo Enea Valgrande, e scrivo per Il Giornale del Mondo. Oggi è il 17 agosto 2040. Sono tornato sul vecchio Ponte Morandi, o meglio su ciò che ne resta: un moncone piegato, trasformato in monumento alla presunzione umana. Attorno, Genova è una città-fantasma evacuata due anni fa, quando il livello del mare ha inghiottito la Darsena e le onde hanno superato i vecchi argini in cemento. Ora qui si coltiva solo sale.
In meno di vent’anni, il mondo ha cambiato pelle. Letteralmente. Le persone indossano tute fototermiche per uscire, e i bambini giocano in rifugi climatici sotterranei, circondati da monitor che simulano alberi, vento e stagioni. Le stagioni vere non esistono più. È sempre estate, o una sua caricatura tossica. Le mezze stagioni? Morte in silenzio attorno al 2031.
Le città non respirano. Si cuociono. I grattacieli una volta simbolo della corsa al futuro ora sono torri deserte, annerite dalle tempeste di fulmini che colpiscono a intervalli regolari, come in un ciclo infernale. Londra ha perso il Tamigi. Venezia è solo un ologramma turistico visibile con occhiali aumentati.
Inquadratura interna. Appartamento tipo 2040. Frigorifero razionato a energia solare. Una madre imprime un codice QR sulla lingua del figlio: è il buono idrico settimanale. L’acqua è diventata moneta. Le guerre non si fanno più per il petrolio, che è ormai tabù, ma per le falde sotterranee. L’Artico è un’area commerciale cinese, mentre l’Antartide è militarizzata. Non ci sono più ghiacci da difendere, solo minerali rari da estrarre.
Eppure, tra la paura e la rinuncia, resistono comunità. Piccole, mobili, semi-clandestine. Sono gli “Atemperati”, gruppi che rifiutano le megalopoli condizionate e vivono migrando tra i climi meno letali, sulle ex montagne italiane, ora colonizzate da cactus e sciacalli. Alcuni parlano ancora del Lago di Como come fosse un mito nordico. Lo chiamano “il Mare Calmo”.
Zoom su una vecchia scuola trasformata in rifugio climatico. Una bambina osserva un libro di carta, l’unico nella stanza. Disegni di alberi. Non ne ha mai visto uno.
C’è nostalgia, ma anche oblio. I ragazzi nati nel 2030 non hanno memoria di com’era prima. Parlano una lingua nuova, ibridata tra emoji vocali e dialetti digitali. Non dicono più “che caldo fa”, ma “quanto è aumentato oggi?”. Il riscaldamento è diventato misura esistenziale.
E noi? Giornalisti del futuro, testimoni di una fine annunciata e mai fermata? Raccontiamo come cronisti del Titanic già inclinato. Ma tra le righe, ci aggrappiamo ancora a un’idea: che la memoria, se ben custodita, possa tornare utile. Non a noi. A chi verrà.
Ultimo piano sequenza. Il sole cala rosso sangue dietro la sagoma distorta della Torre Eiffel, incastonata in una cupola climatica trasparente. Voce narrante fuori campo: “non si trattava solo di salvare il pianeta. Si trattava di salvare l’umanità da se stessa. Abbiamo fallito. Ma il futuro non è ancora finito”.
Dal nostro inviato nel tempo, Enea Valgrande.
2040. Archivio Cronache Climatiche – Volume 7