Cibi ultra-processati, il consumo frequente aumenta invecchiamento

Prodotti dieta Mediterranea

Un’alimentazione che include una quota significativa di cibi ultra-processati può accelerare l’invecchiamento biologico, anche quando inserita all’interno di un regime alimentare considerato sano ed equilibrato. A sostenerlo è uno studio recente pubblicato su The American Journal of Clinical Nutrition, frutto del lavoro congiunto tra l’Istituto Neuromed di Pozzilli e l’Università Lum di Casamassima.

I ricercatori hanno preso in esame i dati raccolti su circa 25mila adulti molisani, nell’ambito del progetto di lunga durata Moli-sani, volto a indagare i legami tra stili di vita, genetica e salute. L’attenzione si è concentrata sul consumo di alimenti classificati come ultra-processati (Upf), cioè quei prodotti sottoposti a numerosi passaggi industriali e contenenti additivi, conservanti, coloranti o dolcificanti.

“L’analisi ha evidenziato che le persone che riportavano un maggiore consumo di alimenti ultra-processati presentavano, in media, un’età biologica superiore rispetto alla loro età cronologica, indicando una possibile accelerazione dell’invecchiamento dovuta proprio ad un consumo più elevato di questi alimenti”, ha spiegato Simona Esposito, prima autrice della pubblicazione e premiata con il riconoscimento “Gianni Barba” per la miglior ricerca nutrizionale condotta da un giovane socio Sinu.

Il dato che ha sorpreso gli scienziati è che tale associazione si è mantenuta anche tra i partecipanti che seguivano una dieta qualitativamente buona. “L’aspetto più rilevante dello studio sta nel fatto che il rapporto tra consumo di alimenti ultra-processati e invecchiamento è risultato indipendente dalla qualità della dieta – continua –. Anche le persone che seguivano regimi alimentari considerati equilibrati dal punto di vista strettamente nutrizionale, ricchi di frutta, verdura e fibre, ma che includevano una quota significativa di cibi ultra-processati, mostravano segni di invecchiamento biologico più rapido”.

Nella lista dei prodotti coinvolti non figurano soltanto gli insospettabili “junk food” come snack salati, dolci confezionati o bevande zuccherate, ma anche cibi spesso percepiti come innocui o addirittura salutari: pane confezionato, alcuni cereali da colazione, piatti pronti, zuppe istantanee e yogurt aromatizzati.

Oltre all’impatto sul microbiota intestinale e sull’infiammazione cronica – elementi noti per contribuire all’invecchiamento – lo studio solleva anche dubbi legati ai materiali di confezionamento. Molti di questi prodotti vengono infatti conservati in imballaggi plastici o multistrato che, nel tempo, possono rilasciare sostanze chimiche come ftalati e bisfenoli, associate a possibili rischi per la salute umana.

Per i ricercatori, questi risultati rappresentano una chiara indicazione della necessità di rivedere non solo cosa mangiamo, ma anche come viene prodotto e conservato il cibo. “Questi risultati rappresentano un ulteriore richiamo a considerare l’alimentazione non solo come fonte di energia e nutrienti, ma come un potente strumento capace di influenzare la longevità e la qualità della vecchiaia e della vita”, conclude Esposito.