Emergenza siccità: in vent’anni scomparse riserve d’acqua di 832mila chilometri quadrati

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Dal 2002 a oggi, le aree del pianeta colpite dalla siccità sono aumentate costantemente, raggiungendo un’estensione totale di circa 832mila chilometri quadrati – poco meno della superficie combinata di Italia e Francia. A rivelarlo sono i dati satellitari raccolti dalle missioni Grace e Grace-Fo, condotte dalla NASA insieme all’Agenzia spaziale tedesca, che confermano una tendenza allarmante: il pianeta sta perdendo acqua dolce a un ritmo crescente.

I risultati dell’analisi, condotta da un team dell’Università Statale dell’Arizona e pubblicata sulla rivista Science Advances, puntano il dito su due cause principali: il cambiamento climatico e, soprattutto, la cattiva gestione delle falde acquifere.

I satelliti Grace, in orbita dal 2002 al 2017, e i loro successori Grace-Fo, lanciati nel 2018, misurano le variazioni nel campo gravitazionale terrestre, sensibili ai cambiamenti nella distribuzione delle masse d’acqua. Attraverso questi dati, il gruppo coordinato da James Famiglietti ha ricostruito l’evoluzione delle riserve di acqua dolce – in fiumi, laghi e falde sotterranee – negli ultimi due decenni.

L’indagine mostra un peggioramento marcato soprattutto nell’emisfero settentrionale, con le aree più colpite lungo la costa occidentale del Nord America, in America Centrale, nel Medio Oriente e nel Sud-Est asiatico. Anche l’Europa è tra i territori più colpiti, con un calo significativo della disponibilità d’acqua. Non a caso, l’estate del 2022 è stata definita “la peggiore degli ultimi 500 anni” per la siccità.

Dal 2014, la situazione si è ulteriormente aggravata a causa di El Niño, il noto fenomeno climatico che riscalda le acque del Pacifico: quello del triennio 2014-2016 è stato il più intenso mai registrato e ha causato siccità diffuse in tutto il mondo.

Ma il dato forse più sorprendente riguarda l’innalzamento del livello del mare: secondo lo studio, la perdita di acqua dolce dai continenti pesa più dello scioglimento delle calotte glaciali. In particolare, contribuisce per il 44%, contro il 37% della Groenlandia e il 19% dell’Antartide.

Un segnale d’allarme forte, che richiede interventi immediati sulla gestione delle risorse idriche. Gli autori dello studio lo dicono chiaramente:
“Mentre gli sforzi per rallentare il cambiamento climatico possono essere scarsi – commentano gli autori – non c’è motivo per cui debbano esserlo anche quelli per rallentare l’avanzata della siccità. Il prelievo eccessivo dalle falde acquifere è infatti il principale fattore che contribuisce al declino delle riserve idriche terrestri. La scomparsa di queste risorse – aggiungono i ricercatori – rappresenta una minaccia critica per l’umanità che avrebbe costi enormi ed eccezionalmente sottovalutati per le generazioni future”.