Il futuro della Terra è in pericolo: non è più un’allerta, è un’urgenza planetaria

Il cambiamento climatico è qui, adesso, e sta riscrivendo le regole della vita sul pianeta. Ogni anno che passa ci consegna nuovi dati, nuovi record, nuove tragedie ambientali. L’umanità si trova di fronte a una svolta storica: agire immediatamente o affrontare un futuro segnato da instabilità climatica, sociale ed economica.

I dati relativi al 2024 parlano chiaro: la temperatura media globale ha superato per diversi mesi consecutivi la soglia critica di +1,5°C rispetto all’era preindustriale. Si tratta del limite individuato dall’Accordo di Parigi del 2015 come punto oltre il quale le conseguenze del riscaldamento globale diventano potenzialmente irreversibili. Eppure, questo confine è già stato varcato.

Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato.
Lo scioglimento dei ghiacci polari, l’innalzamento del livello del mare, la tropicalizzazione del clima, l’aumento vertiginoso degli eventi estremi (ondate di calore, cicloni, incendi, alluvioni): tutto ciò non è più futuro. È presente.

In Italia, solo nel 2024, si sono registrati oltre 310 eventi climatici estremi, con danni per miliardi. In Sudamerica, l’Amazzonia brucia con ritmi mai visti. In India, intere regioni sono diventate invivibili per mesi. Negli Stati Uniti, uragani sempre più intensi devastano le coste.

E le conseguenze non sono solo ambientali: crolli agricoli, crisi idrica, diffusione di nuove malattie, migrazioni climatiche di massa. Il clima è ormai la prima emergenza globale.

Le grandi conferenze internazionali, dal Protocollo di Kyoto (1997) all’Accordo di Parigi (2015),  hanno fissato obiettivi ambiziosi. Ma la realtà racconta altro: quasi nessuno li ha rispettati.
L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016 segnò un colpo durissimo: il ritiro unilaterale dall’Accordo di Parigi (poi temporaneamente rientrato sotto Biden) ha indebolito la credibilità internazionale e rafforzato i fronti negazionisti. Tornato alla Casa Bianca nel 2024, Trump ha revocato regolamenti ambientali federali, rilanciato l’estrazione di petrolio e gas, e smantellato le agenzie scientifiche indipendenti sul clima. Il suo ritorno ha dato un segnale devastante: negli USA, il più grande inquinatore storico, l’emergenza climatica non è più una priorità politica.

Ma il problema non si limita agli Stati Uniti. La Cina, pur investendo in rinnovabili, continua a costruire centrali a carbone. L’India fatica a ridurre la propria dipendenza dal carbone. Molti Paesi petroliferi – tra cui Arabia Saudita, Russia, Emirati – frenano ogni impegno vincolante. L’Unione Europea, pur essendo tra le aree più virtuose, è ancora troppo lenta nel rispettare i suoi stessi target.

In tutto il mondo, movimenti negazionisti o “scettici” sul cambiamento climatico stanno tornando a farsi sentire, spesso alimentati da think tank legati all’industria fossile o da partiti populisti. Alcuni negano l’origine antropica del riscaldamento; altri minimizzano l’urgenza, invocando soluzioni future tecnologiche che oggi non esistono.

Sui social media, la disinformazione climatica dilaga, riducendo l’impatto della comunicazione scientifica. Il clima è diventato anche un campo di battaglia culturale, dove dati e verità rischiano di essere messi in secondo piano dalle opinioni e dagli interessi.

Per il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, abbiamo meno di cinque anni per abbattere le emissioni globali in modo strutturale. Dopo, molte conseguenze saranno inevitabili. Ma il mondo continua a muoversi troppo lentamente. Servirebbe una rivoluzione: energetica, industriale, alimentare, culturale.
Le tecnologie esistono: energie rinnovabili, stoccaggio dell’energia, mobilità sostenibile, agricoltura rigenerativa. Ma la vera sfida è politica e sociale. Serve un patto globale, come fu per il Protocollo di Montréal contro i CFC. Ma stavolta la posta in gioco è più alta: la stabilità del pianeta stesso.

Non possiamo più dire che non sapevamo. La scienza ha parlato. I dati ci sono. I segnali sono ovunque. Eppure, una parte dell’opinione pubblica continua a sottovalutare, o addirittura a negare, la crisi climatica. È un atteggiamento che ha un costo altissimo: ritardare l’azione significa condannare miliardi di persone a vivere in condizioni peggiori.

Il futuro della Terra dipende da una scelta collettiva. Ma anche individuale. Cambiare modello di sviluppo, ripensare l’economia, riformare l’educazione e le priorità politiche.

Non esiste un Pianeta B. E se non agiamo adesso, lasceremo ai nostri figli non un mondo più giusto, ma una crisi fuori controllo.

Bruno Battista