Da anni si parla di sostenibilità, di transizione ecologica, di Green Deal europeo. Tutti ormai riconosciamo quanto sia importante adottare comportamenti più responsabili per non compromettere il futuro nostro e delle nuove generazioni. E gli obiettivi dell’Agenda 2030 si fanno sempre più vicini. Ma rispetto al 2021 il nostro stile di vita è diventato più sostenibile?
È quanto ha verificato una nuova inchiesta di Altroconsumo, che ha coinvolto un campione rappresentativo di 1.000 cittadini italiani. Mettendo a confronto i risultati con quelli raccolti attraverso lo stesso sondaggio nel 2021, è possibile misurare come sono cambiati negli ultimi quattro anni i comportamenti sostenibili nei principali ambiti della vita quotidiana legati alla sostenibilità: alimentazione, viaggi e mobilità, acquisto di beni e servizi, risparmio energetico/idrico e gestione dei rifiuti. L’indagine ha analizzato come i consumatori percepiscono l’impatto delle loro scelte, il livello di informazione sul tema, quanto ritengono importanti i comportamenti sostenibili e gli ostacoli che incontrano per metterli in pratica.
Evoluzione dei comportamenti sostenibili: il confronto tra 2021 e 2025
Il confronto tra 2021 e 2025 restituisce un quadro complesso. Oggi 9 italiani su 10 ormai riconoscono l’importanza di adottare uno stile di vita più sostenibile, ma questa maggiore attenzione fa fatica a tradursi in azioni concrete. Dall’indagine, infatti, emerge che i comportamenti virtuosi non solo non crescono, ma in diversi ambiti hanno segnato un lieve peggioramento.
Le cause di questa battuta d’arresto? Sono tante. Rispetto al 2021 – quando l’attenzione per queste tematiche era più alta anche per il particolare contesto pandemico – oggi emerge un progressivo allentamento delle buone abitudini e dell’impegno politico verso un futuro più verde ed equo. Pesano la crescente pressione economica, che ha ampliato povertà e disuguaglianze, e un contesto internazionale segnato da crisi permanenti, che ha spostato l’attenzione su altre “priorità”, considerate più urgenti. Anche il Green Deal europeo, pur restando un importante punto di riferimento, appare sempre più indebolito da leggi nazionali annacquate e direttive europee di compromesso.
Tutto questo – confermano i risultati dell’inchiesta – si riflette nella vita quotidiana degli italiani: i costi delle scelte più sostenibili restano proibitivi per molte famiglie; mancano alternative accessibili e informazioni chiare sulle soluzioni pratiche per conciliare risparmio, benessere e tutela ambientale. La fotografia che emerge, insomma, è quella di un Paese più consapevole, meno virtuoso nei comportamenti, ma affamato di informazioni e strumenti che permettano di agire. Un segnale netto della necessità di trasformare la sostenibilità da valore condiviso, ma astratto, a possibilità concreta che può diventare azione quotidiana.
Su questo fronte l’Italia non è sola. L’indagine di Altroconsumo fa parte di un progetto internazionale coordinato Euroconsumers – sotto l’egida dell’International Consumer Research & Testing – che ha coinvolto oltre al nostro Paese anche Austria, Belgio, Portogallo, Slovenia, Spagna, Canada e Stati Uniti. Tutti, a eccezione degli Usa, avevano già partecipato al sondaggio del 2021. L’inchiesta, dunque, non consente solo di misurare l’evoluzione del livello di sostenibilità in Italia, ma anche di confrontarla con gli altri Paesi, per capire dove siamo e come si sta muovendo la sostenibilità oltre i nostri confini.
Come viene misurata la sostenibilità dei consumatori in Italia e negli altri Paesi
Per misurare il livello di sostenibilità raggiunto dai consumatori e confrontarlo sia nel tempo sia tra diversi Paesi, l’indagine ha utilizzato il Consumer Sustainable Behaviour Index (CSBI), lo stesso indice adottato nel 2021. Ideato da un gruppo di 39 esperti internazionali, il CSBI permette di valutare in modo comparabile i comportamenti sostenibili adottati dai cittadini nei principali ambiti della vita quotidiana, mostrando come si sono evoluti nell’arco di quattro anni e dove si posiziona oggi l’Italia rispetto agli altri Paesi partecipanti.
Gli esperti hanno individuato cinque aree chiave della vita quotidiana, ciascuna con un peso diverso in base al suo impatto ambientale: alimentazione (la più impattante), viaggi e mobilità al secondo posto e, a seguire, acqua ed energia domestica e gestione dei rifiuti. Per ogni ambito sono stati definiti i comportamenti sostenibili più rappresentativi, poi tradotti in un questionario.
A luglio di quest’anno il questionario è stato somministrato a 8.018 cittadini nei Paesi coinvolti, di cui 1.000 in Italia. Le risposte hanno permesso di elaborare un nuovo indice di sostenibilità, utile non solo per confrontare i risultati con quelli del 2021, ma anche per analizzare come i comportamenti sostenibili sono cambiati all’interno di ogni Paese, nei cinque settori considerati.
Il Confronto con gli altri Paesi: la sostenibilità perde terreno quasi ovunque
L’indice di stile di vita sostenibile (CSBI), che va da 1 a un massimo di 100, fotografa la percezione dei cittadini sui propri comportamenti nei cinque ambiti individuati dagli esperti e consente di confrontare il livello di sostenibilità raggiunto nei vari Paesi.
Il quadro generale del 2025 non si discosta molto rispetto a quello del 2021: l’Italia resta in una posizione di mezzo, lontana sia dalla virtuosa Austria sia dagli Stati Uniti, i meno sostenibili.
Il dato più interessante, però, è un altro. E riguarda l’evoluzione – o meglio l’involuzione – dei comportamenti sostenibili negli ultimi quattro anni. La sostenibilità, infatti, sembra aver rallentato la corsa un po’ ovunque. L’Italia, lo avevamo spoilerato all’inizio, perde due punti rispetto al 2021: i vecchi talloni d’Achille – la mobilità e i consumi idrici/energetici – non migliorano, mentre i precedenti punti di forza – l’alimentazione e la gestione dei rifiuti – addirittura peggiorano.
Una tendenza che non riguarda esclusivamente l’Italia. Solo il Belgio registra un andamento positivo, mentre il Canada rimane stabile. Tutti gli altri Paesi segnano un calo, confermando che la sostenibilità sta perdendo terreno sia Europa sia Oltreoceano, invece di avanzare. Un segnale preoccupante, che suggerisce come le azioni messe in campo finora non bastino e/o non riescano a raggiungere i cittadini, oggi forse anche più severi nel giudicare i propri comportamenti in termini di impatto ambientale. Una cosa, però, è certa: la sostenibilità non li lascia affatto indifferenti, come vedremo analizzando più da vicino i risultati italiani.
La sostenibilità in Italia: più consapevolezza, ma poca informazione
Ben il 95% dei 1.000 intervistati in Italia considera importante adottare comportamenti sostenibili nella propria vita quotidiana. Un dato significativo: la consapevolezza degli italiani sul tema della sostenibilità, infatti, ha compiuto un balzo avanti rispetto al 2021, quando la percentuale si attestava intorno al 70%.
Ma quale area della vita quotidiana è più impattante sulla sostenibilità? A sorpresa, le risposte dei cittadini divergono in modo netto rispetto a quelle degli esperti. Per gli intervistati, la gestione dei rifiuti è l’ambito con il peso ambientale maggiore, secondo gli esperti è esattamente l’opposto: si tratta dell’area meno impattante. Al contrario l’alimentazione, che per la comunità scientifica è la dimensione con l’impatto più elevato, scivola al terzo posto nella percezione dei cittadini. Una distanza simile si riscontra anche nell’area dei viaggi e della mobilità, giudicati dagli esperti tra i principali responsabili dell’inquinamento e collocati dai cittadini in fondo alla classifica.
In sintesi, anche se la sensibilità ambientale è cresciuta, molti intervistati continuano a sottovalutare i settori della vita quotidiana con l’impatto più elevato e a sovrastimare l’importanza di quelli in cui è più facile agire, come la gestione dei rifiuti. Un comportamento comprensibile: fare la raccolta differenziata è un gesto immediato e a costo zero, mentre rendere la propria casa efficiente dal punto di vista energetico o ridurre gli spostamenti in auto richiede impegno, tempo e molto spesso anche notevoli risorse economiche.
La maggior parte degli intervistati, dunque, sembra non avere le idee chiare su quali azioni quotidiane abbiano il maggiore impatto a livello di sostenibilità. Eppure 9 su 10 dichiarano di adottare comportamenti molto o almeno un po’ sostenibili. Se restringiamo il campo ai più virtuosi, cioè il 49% del campione, emerge che le azioni concrete si concentrano ancora una volta sulla gestione e sulla raccolta dei rifiuti. Ora, non c’è dubbio che fare la differenziata sia importante, ma da sola certo non basta. La vera transizione green richiede di allargare lo sguardo ad altri settori della vita quotidiana ben più impattanti, come la mobilità, il risparmio energetico e la riduzione dello spreco alimentare. Solo agendo su questi fronti sarà possibile trasformare i buoni propositi in un cambiamento reale e duraturo.
Perché i progressi negli ambiti della vita quotidiana più impattanti restano limitati? Per quale ragione la gestione dei rifiuti continua a essere percepita come più importante della mobilità? E come mai molti credono di vivere in modo sostenibile senza poi agire concretamente nei settori più rilevanti? Prima di tutto per la mancanza di informazione: 6 intervistati su 10 non si ritengono ben informati sui temi della sostenibilità. Questa scarsa conoscenza impedisce di trasformare la buona volontà in scelte concrete ed efficaci in chiave green.
Un’informazione chiara e accessibile potrebbe aiutare a conciliare consumi, risparmio e minore impatto ambientale, mostrando come integrare i principi della sostenibilità nella vita di tutti i giorni senza grandi rivoluzioni e senza mettere in conto sacrifici eccessivi. E rivelerebbe anche che sostenibilità e risparmio economico vanno a braccetto molto più spesso di quanto molti immaginano.
Come vedremo analizzando i risultati nelle singole aree, infatti, il principale ostacolo all’adozione di uno stile di vita più sostenibile resta la percezione del “costo della sostenibilità”. Un costo per tanti troppo alto, per molti altri addirittura proibitivo.
Alimentazione: piccoli passi indietro rispetto al 2021
Nella dimensione della vita quotidiana che per gli esperti ha il peso maggiore sulla sostenibilità, è stato chiesto agli intervistati che tipo di dieta seguono, quanti cibi certificati acquistano e quali comportamenti virtuosi adottano per ridurre lo spreco alimentare, limitare gli imballaggi (privilegiando cibi sfusi), o mettere in tavola prodotti stagionali e a km 0.
Una tavola un po’ meno sostenibile
Nel 2021 l’alimentazione era il settore più virtuoso in Italia, tanto da portarci al secondo posto nel confronto internazionale. Nel 2025 restiamo ancora in una posizione “alta”, ma con il CSBI che segna un calo di due punti: un piccolo passo indietro.
Quattro anni fa, il 71% degli intervistati dichiarava di impegnarsi per ridurre lo spreco alimentare, oggi la quota è scesa al 67%. Nonostante il carovita abbia spinto molte famiglie a tagliare anche il budget destinato alla spesa alimentare, l’attenzione allo spreco di cibo è leggermente calata. Eppure si tratta di un gesto sostenibile a costo zero, che fa bene sia all’ambiente sia al portafoglio.
Anche la riduzione dei cibi di origine animale registra un calo: dal 74% del 2021 al 68% di oggi. Eppure diminuire il consumo di carne rossa — costosa, impattante e poco salutare, se consumata in eccesso — è una scelta doppiamente efficace per limitare l’impatto ambientale e risparmiare.
Infine, scegliere prodotti stagionali e locali rappresenta un’altra opzione vantaggiosa sia per l’ambiente sia per le tasche: i cibi fuori stagione o importati, infatti, costano di più. Tuttavia, rispetto al 2021, cala anche qui la quota di chi presta attenzione a questi aspetti durante la spesa.
Barriere economiche e culturali da superare
La questione economica è cruciale: il principale freno a un’alimentazione più sostenibile è proprio il costo percepito. Molti sono convinti che i prodotti bio o certificati siano ancora troppo cari, oppure che adottare un regime alimentare più sostenibile si traduca inevitabilmente in una spesa oggi insostenibile. Una convinzione che spesso porta alla rinuncia, in un’epoca di inflazione crescente e di incertezza sul futuro prossimo. Lo conferma anche la nostra inchiesta sulla carne coltivata, cioè un’alternativa proteica a minore impatto ambientale: la maggior parte degli intervistati si dicono ben disposti a portarla in tavola solo se il prezzo sarà conveniente.
Non meno rilevante è la percezione della mancanza di alternative. Una barriera che può essere reale, per esempio per la scarsa disponibilità di prodotti sostenibili in alcune zone o nei punti vendita abituali, ma anche culturale, legata cioè a una conoscenza ancora limitata delle opzioni disponibili e alla resistenza a modificare abitudini alimentari consolidate, che spesso affondano le radici nella tradizione famigliare.
La scarsa percezione delle alternative disponibili fa emergere un punto chiave: la conoscenza della sostenibilità alimentare è ancora lacunosa. Una comunicazione chiara, accessibile e concreta potrebbe orientare meglio i cittadini che vogliono diventare più virtuosi, dimostrando che le opzioni esistono e che mangiare in modo più sostenibile non significa necessariamente spendere di più, ma anzi, spesso consente di risparmiare.
Viaggi e mobilità: l’Italia è ancora in netto ritardo
Quanto sono sostenibili gli spostamenti dei nostri intervistati? Abitualmente si muovono a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici? Utilizzano l’auto solo quando necessario? Quando viaggiano evitano (se possibile) l’aereo a favore di mezzi di trasporto meno inquinanti? Secondo gli esperti la mobilità è al secondo posto per impatto ambientale, ma le abitudini dei cittadini sembrano andare nella direzione opposta.
La strada verso la sostenibilità è ancora lunga
Già nel 2021, rispetto agli altri Paesi l’Italia si collocava agli ultimi posti in fatto di abitudini legati alla mobilità. Già allora, infatti, gli italiani avevano mostrato una scarsa propensione a rinunciare all’auto anche per spostamenti brevi, oppure a muoversi a piedi, in bici o con i mezzi pubblici.
A distanza di quattro anni, nulla è cambiato, anzi: qualcosa è peggiorato. La percezione dell’impatto ambientale legato ai propri spostamenti resta bassa e la mobilità continua a essere considerata dagli intervistati l’area meno impattante. Questo si riflette nei comportamenti: solo il 43% usa l’auto quando realmente necessario (era il 53% del 2021) e appena il 36% si muove quotidianamente a piedi, sulla due ruote o con i mezzi pubblici (contro il 38% di quattro anni fa).
Le ragioni di questa resistenza sono tante. In Italia da sempre domina un modello di mobilità basato sull’auto privata, non a caso presente in 9 famiglie su 10 e spesso utilizzata anche per tragitti brevi. A questo si aggiungono la scarsa consapevolezza sull’impatto ambientale dei propri spostamenti e una conoscenza assai limitata dei vantaggi della mobilità sostenibile. Ma non solo.
Mancanza di infrastrutture e costi eccessivi
Tra le barriere principali emerge ancora una volta il fattore economico. Probabilmente molti considerano l’auto elettrica o ibrida troppo costosa e giudicano insufficienti gli incentivi pubblici per sostenere un investimento così impegnativo. Rinunciare all’auto a favore di altri mezzi più sostenibili, come la bicicletta? Non è sempre possibile o semplice.
Secondo gli intervistati, mancano le infrastrutture e i servizi: piste ciclabili, percorsi pedonali, car sharing e trasporto pubblico sono spesso insufficienti o poco accessibili. Eppure, scegliere mezzi di trasporto più green porterebbe vantaggi concreti: meno inquinamento, benefici per la salute e un notevole risparmio economico su carburante, assicurazione e costi di gestione.
Le carenze infrastrutturali ci sono e vanno affrontate in modo più deciso, ma serve anche un cambio di mentalità per superare l’idea del “tanto a cosa serve?” e riconoscere che, se nulla cambia, è anche perché noi per primi non cambiamo. Non ci si può permettere un’auto elettrica? Si può iniziare limitando l’uso di quella vecchia. Il luogo di lavoro è vicino? Meglio andare a piedi o in bicicletta.
Risparmio idrico ed energetico in casa: più supporto ai cittadini
Gli italiani ormai lo sanno: risparmiare acqua ed energia è uno dei gesti più importanti per proteggere l’ambiente e alleggerire le bollette. Ma questo elevato livello di consapevolezza si traduce poi in azioni concrete tra le mura domestiche? Le case sono ben isolate? Quanti hanno già sostituito i vecchi elettrodomestici energivori con apparecchi efficienti o hanno scelto fornitori di energia da fonti rinnovabili?
Abitudini sostenibili tra luci e ombre
Le buone pratiche a costo zero, come spegnere le luci o non lasciare l’acqua scorrere dal rubinetto, restano diffuse, ma in calo: oggi le adotta il 57% degli intervistati, contro il 64% di quattro anni fa. Un piccolo campanello d’allarme che rivela un calo della guardia. Interventi più incisivi ma dai costi contenuti, come sostituire elettrodomestici obsoleti con modelli efficienti, restano ancora limitati, mentre le soluzioni più efficaci, come nuovi infissi o coibentazioni, sono troppo onerose per molte famiglie, tenendo anche conto che una buona parte delle abitazioni nel nostro Paese è datata e, quindi, inefficiente sul versante energetico.
Più sostegni per accelerare la transizione energetica
Non sorprende, quindi, che il principale ostacolo a rendere la propria casa più efficiente dal punto di vista energetico sia economico. Prendiamo il caso emblematico dell’isolamento domestico, fondamentale per migliorare l’efficienza energetica e ridurre i consumi, alleggerendo l’inquinamento ambientale e le bollette. Nel 2021, il 45% degli intervistati dichiarava di vivere in una casa ben isolata, oggi la quota scende al 30%. Un calo pesante che riflette le difficoltà dello sfavorevole periodo economico e la conseguente necessità di rimandare gli onerosi lavori di ristrutturazione. Anche i tanto discussi incentivi fiscali, nati proprio per promuovere l’efficientamento energetico, spesso si sono rivelati un boomerang: procedure complesse, regole poco chiare e tempi di rimborso biblici possono aver scoraggiato i cittadini invece di incentivarli ad affrontare i lavori più onerosi.
A pesare è anche, ancora una volta, la scarsa informazione: molti non conoscono le soluzioni migliori per isolare la casa con budget ridotti. Lo stesso vale per le energie rinnovabili domestiche, come i pannelli solari o le pompe di calore, che restano ancora poco diffuse a causa di ostacoli burocratici, incentivi poco accessibili e scarsa conoscenza delle opportunità disponibili.
Acquisto di beni e servizi: meno attenzione alla sostenibilità
Quando fanno shopping i nostri intervistati rispettano uno dei principi cardine della sostenibilità: acquistare meno e acquistare meglio? Comprano, cioè, solo quello che serve, evitando di sacrificare la qualità sull’altare della quantità? Evitano i prodotti usa-e-getta, che generano una mole di rifiuti spesso non riciclabili? Scelgono aziende e marchi di provata eticità, controllando anche la presenza delle certificazioni ambientali?
Lo shopping sostenibile rallenta dopo la pandemia
Nel 2021 gli italiani sembravano aver abbandonato lo shopping compulsivo, abbracciando un approccio più responsabile: “meno e meglio”. Su questo fronte, infatti, l’Italia si era distinta rispetto agli altri Paesi per il livello di consapevolezza sui danni del consumismo sfrenato e di sensibilità verso l’impatto ambientale ed etico degli acquisti.
Oggi il quadro è cambiato. Nel 2021 il 53% degli intervistati acquistava solo l’essenziale, oggi la percentuale è scesa al 49%; allora, il 57% sceglieva prodotti di qualità e lunga durata, oggi “solo” il 49%. Anche la quota di chi evita prodotti monouso è andata giù: dal 38% al 29%. Certo allora eravamo in piena pandemia, un periodo in cui le restrizioni avevano naturalmente ridotto gli acquisti e spinto a una maggiore riflessione sui consumi. Finita l’emergenza pandemica, altri fattori sono subentrati a frenare la spinta verso lo shopping sostenibile.
Prezzi, abitudini e alternative sostenibili
In un periodo di crisi economica non dovremmo essere ancora più attenti a ciò che acquistiamo? Sì, ma come spesso accade, la realtà è un po’ più complessa. In un clima di incertezza sul futuro, il “comfort shopping” – l’acquisto impulsivo con un effetto consolatorio – esercita un richiamo al quale è difficile resistere. E se il portafoglio è sempre più leggero e i prodotti più sostenibili ancora troppo cari, come segnalano gli intervistati, è un attimo decidere di sacrificare la qualità e la sostenibilità per la quantità.
Difficile far passare il principio che spendere un po’ di più oggi può significare risparmiare (e inquinare meno) domani. Meglio un capo di qualità che dura dieci anni piuttosto che riempire l’armadio di vestiti low cost destinati a rovinarsi e finire in discarica dopo pochi mesi. E poi esistono anche alternative sostenibili e accessibili: scegliere abiti di seconda mano o smartphone ricondizionati, per esempio, significa spendere meno e, allo tesso tempo, regalare una nuova vita a un prodotto, dando il proprio contributo all’economia circolare. Le possibilità, insomma, non mancano: basta conoscerle e avere il coraggio di cambiare abitudini.
Gestione dei rifiuti: meno sprechi, più informazione
Il pensiero corre subito alla raccolta differenziata, che la maggior parte degli italiani peraltro esegue in modo molto scrupoloso. Ma gestire i rifiuti in modo più sostenibile significa anche produrne letteralmente di meno, alleggerendo le discariche. Come? Prima di tutto allungando la vita ai prodotti che già si possiedono con una manutenzione regolare e riparandoli invece di sostituirli, oppure donando ciò che non si usa più ma è ancora in buono stato. I nostri intervistati adottano anche questi comportamenti virtuosi?
Buttare meno, smaltire meglio
Secondo i nostri intervistati, la gestione dei rifiuti – intesa in senso ampio, dal loro smaltimento alla riduzione attraverso consumi più responsabili – è l’area con l’impatto ambientale più elevato. Gli esperti, invece, la considerano meno rilevante rispetto ad altri settori come alimentazione e mobilità, giudicati maggiormente inquinanti. Ciò non toglie che ridurre la quantità di rifiuti e smaltirli correttamente sia molto importante in chiave sostenibilità.
L’attenzione degli italiani, oggi come quattro anni fa, si concentra soprattutto sulla raccolta differenziata, conosciuta e rispettata dal 76% degli intervistati, contro l’80% del 2021. Un piccolo calo, che non fa dubitare però che quest’azione quotidiana sostenibile sia ormai diventata un’abitudine acquisita in quasi tutte le case, anche perché gratuita e facile da seguire.
Resiste anche la consapevolezza che produrre meno rifiuti è possibile semplicemente sfruttando a fondo quello che già si possiede. La percentuale di chi usa e fa durare i prodotti più a lungo, infatti, è rimasta sostanzialmente stabile, passando dal 53% al 54%. Un segnale positivo. In leggero calo, invece, il numero di chi sceglie di riparare i prodotti piuttosto che sostituirli: si passa dal 55% del 2021 al 49% di oggi. Questa flessione, però, può non dipendere solo da pigrizia o noncuranza, ma anche dalla difficoltà pratica di capire come procedere e a chi rivolgersi.
Più servizi e più informazione
La mancanza di servizi, infrastrutture e informazioni, infatti, è il principale ostacolo a comportamenti più sostenibili. Anche nella raccolta differenziata, infatti, ci sono ampi margini di miglioramento. La nostra inchiesta sul corretto smaltimento dell’olio alimentare esausto lo ha dimostrato: tanti cittadini ancora sgarrano perché non sanno come smaltire questo rifiuto altamente inquinante, oppure perché i punti di raccolta messi a disposizione dai Comuni sono poco accessibili e/o in numero insufficiente.
Lo stesso vale per la manutenzione e la riparazione dei propri beni: ci voglio più informazioni e servizi dedicati che rendano più semplice allungare la vita dei prodotti e che incentivino chi vuole adottare uno stile di vita più sostenibile. In fondo gestire meglio i rifiuti significa imparare a produrne meno, dando più valore a ciò che si ha.
La sostenibilità come impegno condiviso
I cittadini devono essere sostenuti nei loro comportamenti virtuosi. Il Green Deal europeo è stato accompagnato da una serie di regole, regolamenti e direttive, che hanno l’obiettivo ultimo di “modificare” il ciclo produttivo e quello dei consumi, passando da un modello lineare a un modello circolare. In questi ultimi mesi, però, purtroppo le regole ambiziose proposte solo tre anni fa sono state in parte modificate e si rischia di andare al ribasso.
In realtà, i comportamenti virtuosi dei cittadini devono essere accompagnati da imprese che producono in modo virtuoso e da esercenti che vendono in modo virtuoso; di questo i parlamentari europei e italiani devono tener conto quando legiferano. Come tutti i cambiamenti, quella verso la sostenibilità non è una strada facile e i cittadini che vogliono imboccarla vanno sostenuti. Soprattutto nel momento della transizione servono incentivi e contributi pubblici.
Riqualificare le abitazioni dal punto di vista energetico, consumare cibi sostenibili, comprare in maniera virtuosa, muoversi impattando meno possibile sull’ambiente sono attività “costose” che giocoforza devono essere sostenute. Serve una politica fiscale intelligente che premi le produzioni sostenibili e che renda così i prodotti virtuosi più convenienti e accessibili per i cittadini. Ci vogliono incentivi pubblici coraggiosi per sostenere, per esempio, i lavori di riqualificazione energetica dei cittadini, lavori cioè ingenti che richiedono enormi risorse non certo facili da coprire per le famiglie.
Ovviamente poi il tutto deve essere accompagnato da attività formative e informative anche verso i cittadini, chiamati a un grosso cambiamento culturale di cui devono essere pienamente consapevoli. Impegnati a cambiare ha come finalità proprio questo, oltre ad attività istituzionali per rendere il cambiamento del mercato possibile.







