Il 7 maggio 2025 la Corte costituzionale affronterà per la prima volta una questione relativa all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, cancellato nel 2024 dal governo Meloni. Sarà l’occasione per fare il punto su un reato che, per oltre un secolo, ha rappresentato un pilastro controverso del diritto penale italiano
Abuso d’ufficio, dal Codice Zanardelli alla Costituzione
Il reato di abuso d’ufficio ha radici antiche. Compare già nel Codice Zanardelli del 1889, e trova conferma nel Codice Rocco del 1930. La sua centralità si rafforza nella Costituzione repubblicana, che all’articolo 97 sancisce il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.
Una norma tra giustizia e discrezionalità
Per decenni l’abuso d’ufficio è stato il reato simbolo dei controlli sulla pubblica amministrazione. Ma con il tempo, le critiche si sono moltiplicate: da una parte, la difficoltà a dimostrare l’intenzionalità del danno; dall’altra, la sensazione che il reato venisse usato in modo generico, disincentivando l’azione degli amministratori.
L’abrogazione del 2024
Con la legge 30/2024, il governo Meloni ha deciso di cancellare il reato, sostenendo che creasse paralisi nella macchina amministrativa. Una scelta contestata da parte della magistratura e del mondo giuridico, che temono ora un vuoto di tutela nei confronti di comportamenti arbitrari o illegittimi da parte dei pubblici ufficiali.
Abuso d’ufficio, la Consulta chiamata a pronunciarsi
Mercoledì la Consulta sarà chiamata a valutare la legittimità di un’archiviazione fondata sulla nuova normativa. È il primo vero banco di prova costituzionale per l’abrogazione. La decisione potrebbe influenzare anche eventuali iniziative politiche o legislative future sul tema della legalità amministrativa.