Atreju, il nuovo salotto buono del potere italiano: governo, opposizioni e star tv si danno appuntamento

Mandatory Credit: Photo by Domenico Cippitelli/SOPA Images/Shutterstock (15004351ab) Prime Minister of Italy, Giorgia Meloni attends the Atreju event, the Brothers of Italy party at the Circus Maximus. 25th edition of Atreju, the Fratelli d’Italia party was held at the Circus Maximus, in Rome. ATREJU event 2024 in Rome, Italy – 15 Dec 2024

Il racconto dell’underdog è ufficialmente scaduto. Giorgia Meloni può anche continuare a raccontarlo, ma dopo aver visto la scaletta di Atreju 2025 l’immagine dell’outsider contro il sistema diventa più fragile di un finto deep fake fatto con un’app gratuita. «Vi ricordate l’underdog? Scordatevela», scrive Mattia Feltri, e come dargli torto. Nei giardini di Castel Sant’Angelo sta per andare in scena una festa che più che una kermesse politica sembra la lista degli invitati di un matrimonio reale. Ci sarà l’intero governo. Ci saranno due terzi dell’opposizione. Ci sarà una folla di giornalisti, settantasette per l’esattezza, di cui ventiquattro direttori. E poi sportivi, conduttori, attori, prelati, nostalgici della Seconda Repubblica e perfino qualche ritorno in grande stile come Gianfranco Fini e Francesco Rutelli. Altro che outsider: questa è la versione politica della notte degli Oscar.

Feltri fa l’elenco e più lo leggi più ti chiedi come si possa ancora parlare di sfavorita anti-élite. Andrea Malaguti, Luciano Fontana, Enrico Mentana, Marco Travaglio, Bruno Vespa: se qualcuno aveva il dubbio che i media fossero ostili, basta guardare la fila alla reception. E poi Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, a confermare che il clima è così interclassista da superare persino il concetto di dialogo. Ci sarà anche Silvia Albano, presidente di Magistratura democratica, dettaglio che da solo basterebbe a smontare qualsiasi narrazione di marginalità. Non manca nemmeno il siparietto Nordio-Di Pietro, una specie di remake giudiziario che sembra scritto per nostalgici del Novecento politico. A ben vedere l’unica vera opposizione sarà probabilmente quella tra chi entra dal varco vip e chi resta bloccato al metal detector.

A rendere l’insieme ancora più spettacolare ci pensa Michele Serra, che osserva come Atreju sia ormai «il segno più evidente della vocazione consociativa del potere italiano». Consociativa e romanissima, precisa, perché l’atmosfera non è quella dei congressi di partito, ma quella di Viale Mazzini mischiata alle trattorie del Lungotevere. Serra spiega che il raduno somiglia a un Meeting di Rimini ma con un evidente “viraggio romano”. Il che significa che si può discutere di politica nazionale mentre si incrocia Carlo Conti, si saluta Mara Venier e si evita Fiorello, «troppo scafato per caderci». E nessuno trova strano che tutto ciò avvenga alla festa di un partito che fino a ieri si presentava come il più distante dalle élite.

Il quadro diventa quasi comico quando si passa agli ospiti del mondo dello spettacolo. Raoul Bova, fresco di salotti e cronache rosa, salirà sul palco per parlare di deep fake, web reputation e odio social. Una svolta quasi poetica: dalla fiction alla pedagogia digitale. Feltri nota che l’evento si candida a nuova grande festa «nazional popolare e della classe dirigente», una specie di grande cerchio magico in cui temi istituzionali e curiosità da rotocalco convivono pacificamente. E a quel punto è inevitabile chiedersi chi sarà il grande assente. In testa alla lista Andrea Bocelli che, a giudicare dal tenore della festa, sarebbe stato perfetto ad aprire con un «Vinceròooooooo!». Seguono Totti, Ilary Blasi, Chiara Ferragni e Fedez, che avrebbero potuto donare al dibattito sulla famiglia tradizionale un tocco di imprevedibilità non richiesto ma certamente spettacolare.

Il tono non cambia nemmeno quando ci si addentra nelle riflessioni più politiche. Feltri scrive che l’allarme fascismo «è sempre stato farlocco e ora tramonta». Non perché sia stata vinta una battaglia culturale, ma perché l’egemonia si è semplicemente spostata: ora è qui, tra stand, palchi, corrispondenti tv e figuranti illustri, dentro un festival che assomiglia ogni giorno di più a una versione istituzionale della prima serata Rai. È il posto dove bisogna essere per dimostrare di contare qualcosa. Il nuovo centro del villaggio. Il luogo dove la classe dirigente smette di fingersi divisa e si concede un weekend di convivenza politica, mediatica e gastronomica.

Serra ci scherza, ma il punto è chiaro: la politica italiana ha una vocazione alla pacificazione permanente, purché sia comoda, conviviale e ampiamente fotografata. La caricatura dell’underdog non regge più. Regge invece l’idea, molto italiana, che alla fine ci si ritrovi tutti attorno allo stesso tavolo, magari con una carbonara, magari davanti a un talk sulla reputazione online, magari discutendo se Raoul Bova riuscirà o no a incantare Arianna Meloni. L’unica incognita resta capire se tutto ciò sia la prova di una nuova forma di stabilità o solo la conferma che nel nostro Paese l’opposizione è un concetto negoziabile, soprattutto quando l’invito arriva con timbro ufficiale.

E così Atreju diventa la cartolina perfetta del presente: una grande festa di cui tutti fanno parte, dall’ex outsider che governa il palco ai giornalisti che un tempo la incalzavano. La metamorfosi è compiuta. Il nuovo mainstream non sta arrivando: è già qui e indossa il pass da ospite.