Autonomia, la Lega scalpita: promessa di Meloni dopo le regionali, ma i forzisti del Sud frenano e la maggioranza si prepara al nuovo stress-test

Nel gioco a incastri del governo, ogni alleato ha la sua moneta politica. Forza Italia ha avuto la giustizia e la riforma cara a Nordio. Ora la Lega chiede di battere cassa, e lo fa senza più troppe cautele: l’autonomia differenziata – bandiera storica del Carroccio – deve ripartire. Non a metà legislatura, non a data da destinarsi, ma subito dopo le regionali di novembre. È la promessa che, secondo i leghisti, Giorgia Meloni avrebbe messo sul tavolo a fine settembre, durante una riunione riservata con Tajani, Salvini, Lupi e Calderoli. Una garanzia che oggi diventa leva politica.

Roberto Calderoli, che sull’autonomia ha costruito un’intera stagione politica, lo ripete ai dirigenti del partito: la premier non potrà tirarsi indietro. La linea è chiara: chiusa la campagna elettorale, la riforma deve tornare sulle scrivanie di Palazzo Chigi, con il via libera alle prime intese preliminari tra governo e regioni che hanno chiesto di trasferire le competenze non Lep, Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria. È il Nord produttivo che scalpita, è la base leghista che considera quella riforma un patto fondativo tra alleati. E la pazienza, dopo mesi di attesa, non è infinita.

Matteo Salvini, che pubblicamente mantiene toni istituzionali, in privato non fa mistero della posta in gioco: la Lega ha accettato di non intestarsi la riforma della giustizia, ha evitato passerelle e proclami, si è mossa con disciplina e senso di coalizione. Ora, sostengono dal Carroccio, tocca agli alleati dimostrare reciprocità. La narrativa è semplice e martellante: “Abbiamo fatto squadra sulla giustizia, ora l’autonomia si deve fare”. È un messaggio rivolto tanto a Palazzo Chigi quanto ai territori.

Ma il cammino non è lineare. Se al Nord la riforma è percepita come occasione storica, al Sud resta un fronte di resistenze interne alla stessa maggioranza. Non si tratta solo delle opposizioni, che da mesi denunciano il rischio di “spaccare il Paese”. A frenare sono anche esponenti di Forza Italia, guidati dal presidente della Calabria Roberto Occhiuto, che rivendicano un principio: prima i fondi per i Lep, poi le intese. Tradotto: senza un finanziamento solido dei livelli essenziali delle prestazioni, l’autonomia diventerebbe una corsia preferenziale per chi è già più forte.

La linea degli azzurri meridionali si regge su un argomento concreto: garantire servizi minimi equi su tutto il territorio nazionale è un obbligo costituzionale. E il rischio di creare nuove diseguaglianze territoriali resta una delle partite più sensibili per un governo che si presenta come forza di unità nazionale. I leghisti ribattono che i Lep sono in lavorazione e che il percorso, così come definito dalla legge, non è aggirabile. Ma pretendono che i tempi restino serrati. Le bozze del ministero degli Affari regionali sono già pronte. E l’indicazione è chiara: portare la questione in Consiglio dei ministri subito dopo il voto.

La premier Meloni per ora mantiene una postura da equilibrista. Non intende smentire la promessa al Carroccio, ma sa che l’autonomia è tema ad alta temperatura politica e sociale. La maggioranza si regge su una geometria complessa: dare troppo a una parte rischia di aprire tensioni con l’altra. E la stagione elettorale non è finita, tra amministrative, europee e un’agenda riformatrice che prevede anche premierato e fisco.

Per la Lega, però, l’autonomia non è più dossier rinviabile. Salvini vuole tornare a parlare a quel Nord che sente distante e che oggi guarda più ai dossier economici che ai simboli. Calderoli rivendica un percorso già scritto. Zaia avverte: gli impegni si rispettano. A novembre, finita la tregua elettorale, si capirà se la promessa sarà mantenuta e se la riforma-bandiera della Lega riuscirà ad avanzare senza spaccare l’alleanza. Un altro passaggio delicato in un governo che, per tenere insieme tutte le anime del centrodestra, deve muoversi come un equilibrista su un filo sottile.