Dal ministro “nammurato” alla chiave di Pompei: finisce nel nulla la farsa che ha fatto ridere l’Italia

È finita come doveva finire, con una risata amara e un sospiro di sollievo per chi occupa gli scranni di velluto rosso. La saga dell’ex ministro “nammurato” e della chiave di Pompei si è chiusa con la stessa leggerezza con cui era iniziata: tra cotte da cartolina, souvenir di Stato e dimissioni accolte dal Paese come l’ennesimo episodio di una commedia all’italiana. Gennaro Sangiuliano, ex ministro della Cultura, aveva ceduto al fascino di Maria Rosaria Boccia, la sua musa tra scavi e colonne. E, in un momento di romantico entusiasmo, le aveva regalato la chiave d’onore ricevuta dal sindaco della città campana. Un gesto galante da fotoromanzo anni ’60, peccato che quell’omaggio fosse di proprietà dello Stato.

Da lì era partita la barzelletta: titoli, meme, imitazioni televisive e una valanga di battute da bar. Il ministro, colto con le mani nella teca, aveva resistito qualche settimana, aveva persino pagato di tasca sua il valore del dono rivelando candidamente che la chiave d’oro non era più nelle sue disponibilità. Poi, visto lo scandalo, le dimissioni erano arrivate inevitabili, tra applausi sarcastici e sghignazzi generali. Perfetto finale di un film di Alberto Sordi, se Sordi fosse ancora tra noi.

Ieri, però, è andato in scena l’atto finale, quello che solo la politica italiana sa recitare: la magia dell’immunità. Palazzo Madama ha votato 112 a 57 per fermare il processo per peculato, risolvendo tutto con la formula del “preminente interesse pubblico”. Traduzione simultanea: se sei ministro, anche regalare una chiave diventa un atto di Stato. Se poi la doni alla tua (presunta) amante, va bene lo stesso. A cancellare il reato ci pensano i colleghi tuoi.

In aula l’atmosfera oscillava tra cabaret e magia da quattro soldi. Gian Marco Centinaio della Lega, in vena di show, ha lanciato la battuta da prestigiatore: «Lasciamo i colleghi nella suspense… Sim Salabim!».Insomma, dopo la chiave è sparito pure il reato. 

Ma la giornata non poteva fermarsi alla farsa pompeiana. Maurizio Gasparri ha incassato la sua personale magia: insindacabile per le bordate al magistrato Luca Tescaroli, accusato di ambizioni politiche mentre indagava su dossier delicati nel 2023. 117 voti favorevoli, 23 contrari, e anche qui la bacchetta dell’immunità ha fatto sparire ogni fastidio.

Terzo atto: Matteo Renzi e il suo libro Il Mostro. Nel capitolo incriminato accusava la pm Christine Fumia von Borries di aver ignorato prove a discarico pur di condannare i suoi genitori. Querela, procedimento civile a Milano… e poi il solito finale: 118 voti e tutto diventa insindacabile.

Così, in un solo pomeriggio, il Senato ha salvato tre illustri inquilini della politica. La cronaca registra la farsa, il Paese osserva e ride amaro. Maria Rosaria Boccia può conservare la chiave di Pompei nel suo cofanetto dorato, accanto al certificato di immunità del buon Gennaro Sangiuliano. La politica, ancora una volta, ha salvato sé stessa. E quando serve, tra stucchi e velluti, basta davvero un sussurro: “Sim Salabim”, ed è come se nulla fosse mai accaduto.