Ogni autunno arriva la manovra, e ogni autunno si ripete lo stesso copione: il governo rivendica equilibrio e responsabilità, mentre il Paese osserva con la consueta miscela di scetticismo, attesa e disincanto. Quest’anno, però, il termometro del consenso racconta qualcosa in più: la pazienza degli italiani sembra ancora più assottigliata. E il giudizio sulla terza legge di bilancio firmata Meloni è severo, quasi implacabile.
Secondo un sondaggio Only Numbers, il 69,9% degli intervistati considera la manovra insufficiente per affrontare i problemi strutturali dell’Italia. Non un semplice mugugno da opposizione: anche tra gli elettori della maggioranza la delusione supera la metà del campione, con un 54,7% che ritiene le misure inadeguate. Il dato più rumoroso arriva dalla base leghista: il 68,2% degli elettori del Carroccio non vede risposte convincenti. Uno scarto significativo, che rispecchia lo stato d’animo di un elettorato che si sente logorato dal caro vita e vede nella manovra più contenimento che slancio.
Solo il 17% del totale promuove la manovra, percentuale che cresce tra gli elettori di Fratelli d’Italia e Forza Italia, i quali mostrano un sostegno più compatto alle scelte dell’esecutivo. Ma il quadro complessivo resta freddo. Il 42,1% degli italiani è convinto che la legge di bilancio avrà un impatto nullo o negativo sulla propria vita quotidiana, e la forbice tra numeri della finanza pubblica e percezione della realtà continua ad allargarsi.
Non è solo questione di cifre. È un sentimento. L’impressione diffusa è che chi vive il quotidiano – bollette, mutui, carrelli della spesa, liste d’attesa – non ritrovi risposte nelle tabelle della Ragioneria. Gli indicatori tecnici parlano di conti in ordine, di rispetto dei parametri europei, di una manovra da 18 miliardi costruita con prudenza e consapevolezza dei vincoli. Ma la piazza sociale, sempre più silenziosa e sempre più stanca, chiede altro: respiro, prospettiva, segnali concreti.
A pesare è il logorio di anni in cui, di fronte all’inflazione, ai salari fermi e a servizi pubblici in affanno, le manovre vengono percepite come esercizi di sopravvivenza più che come strumenti di visione. L’idea che si riesca solo a “tirare avanti” diventa un sentimento collettivo. Si attende un miglioramento che non arriva, si ascoltano promesse che non si materializzano, si rientra nella routine dell’attesa: della visita medica, dell’aumento in busta paga, della misura strutturale che cambi la traiettoria del Paese.
Gli elettori del centrodestra più convinti – specie quelli di FdI – spiegano la prudenza come scelta obbligata, un passaggio necessario per consolidare i conti e ridare credibilità all’Italia in Europa. E infatti lo scenario internazionale pesa: tassi ancora elevati, crescita debole, margini di spesa quasi inesistenti.
Ma per molti cittadini tutto questo non basta più a giustificare lo stallo percepito. È come se la distanza tra la sala dei bottoni e le cucine delle case italiane si fosse ampliata: da una parte parametri, dall’altra scontrini.
Quando il portafoglio si assottiglia e la prospettiva si riduce al mese successivo, anche la manovra più tecnicamente corretta rischia di apparire fredda, distante, incapace di generare fiducia. Ed è proprio la fiducia l’elemento mancante: l’idea che i sacrifici di oggi servano davvero a costruire domani. Oggi, per molti, manca perfino la promessa di quel domani.







