Ex Ilva, salta l’appalto da un miliardo per l’impianto green: gara da rifare

Il Consiglio di Stato annulla l’aggiudicazione a Paul Wurth Italia. Intanto gli azeri ridimensionano l’offerta. Urso convoca le imprese, i sindacati attesi a Palazzo Chigi

Un nuovo colpo si abbatte sul futuro dell’ex Ilva proprio mentre si tenta di costruire una narrazione di rilancio green: il Consiglio di Stato ha confermato l’annullamento dell’intera gara per la realizzazione dell’impianto di preridotto a Taranto, giudicando illegittima l’aggiudicazione da circa un miliardo di euro a Paul Wurth Italia. L’opera, destinata alla produzione annuale di due milioni di tonnellate di Direct Reduced Iron, dovrà attendere. L’appalto, bandito da Dri d’Italia spa, società controllata da Invitalia, dovrà essere rifatto da capo.

Il verdetto complica ulteriormente la già delicata situazione del polo siderurgico. Gli impianti restano in gran parte fermi, la produzione rallenta e la cassa integrazione aumenta, aggravando le tensioni sociali tra i lavoratori. E mentre prosegue lo scontro istituzionale tra il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e la magistratura sull’altoforno sequestrato dopo il rogo del 7 maggio, arriva un altro segnale negativo dal fronte della trattativa con Baku Steel: gli azeri avrebbero comunicato l’intenzione di ridurre la propria offerta alla luce dell’instabilità crescente.

Mercoledì 21 maggio i sindacati metalmeccanici sono stati convocati a Palazzo Chigi per un aggiornamento sul dossier Acciaierie d’Italia. Due giorni prima, lunedì, il ministro Adolfo Urso riunirà a Palazzo Piacentini le imprese interessate a investire a Taranto. Tra i partecipanti ci saranno Fincantieri, Toto Holding-Renexia e Webuild Group: soggetti che da tempo osservano l’area industriale pugliese come snodo per progetti di riconversione e diversificazione.

Nel frattempo, resta alta l’attenzione sulle condizioni dell’altoforno 1. Il Mimit ribadisce che, a oltre 220 ore dalla richiesta, l’autorizzazione al colaggio dei fusi non è ancora stata concessa dalla magistratura, smentendo la versione della procura secondo cui il via libera alla messa in sicurezza sarebbe stato già dato.

Intanto riemerge con forza il tema della presenza pubblica nello stabilimento. La segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, parla di una “presenza dello Stato come elemento di garanzia”, ma senza evocare la nazionalizzazione tout court. Diversa la posizione del Pd e di Andrea Orlando, che propone una nazionalizzazione transitoria per evitare lo stallo produttivo. Stessa linea quella dell’Usb, secondo cui “non ci sono alternative alla nazionalizzazione e bisogna farlo in fretta”.

Il futuro dell’ex Ilva si gioca ora su più tavoli, tra diritto amministrativo, relazioni sindacali e scelte politiche decisive per il destino industriale del Mezzogiorno.