Nel centrodestra la partita delle regionali assomiglia sempre di più a una guerra di trincea. L’ultimo scontro, quello che fa saltare di nuovo il banco, arriva dalla Campania. Tutto sembrava pronto per l’annuncio ufficiale di Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri e fedelissimo di Giorgia Meloni, come candidato governatore. Ma da Forza Italia è arrivato un altolà che ha fatto infuriare Fratelli d’Italia. Il messaggio è arrivato forte e chiaro dai due pesi massimi azzurri: Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato e responsabile enti locali, e Fulvio Martusciello, capo delegazione in Europa e leader campano del partito. Nessuna diplomazia, niente giri di parole: «Chi si candida a guidare una Regione deve restare su quel territorio anche in caso di sconfitta. Le regionali sono un viaggio di sola andata».
Tradotto: se Cirielli perde contro Roberto Fico, non potrà rientrare a Palazzo Chigi da viceministro. Dovrà restare in Campania da semplice consigliere. «È una condizione imprescindibile», ha ribadito Martusciello. E ancora più netto: «Non si firma l’apparentamento se non c’è questa condizione». Fratelli d’Italia ha reagito con gelo e irritazione. «Non esiste», trapela da via della Scrofa. «Cirielli, anche
in caso di sconfitta, resterà viceministro». La premier non avrebbe gradito il tono dell’ultimatum azzurro, considerato “una mossa da prima Repubblica” e “un’ingerenza politica che mina la lealtà di coalizione”. Il risultato è che la Campania, che doveva essere la prima tessera del puzzle, rischia di diventare l’ennesima scheggia impazzita. E con essa tutto il fragile equilibrio tra alleati.
Secondo quanto filtra, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani si sono sentiti più volte nel corso della giornata. Ma, come ormai succede da settimane, la decisione è stata rinviata. Probabilmente a lunedì o martedì, dopo il voto in Calabria. «Si va oltre con i tempi», ha sbottato Luca Zaia, da Padova. «I cittadini hanno diritto di conoscere i candidati e i programmi. Abbiamo meno di venti giorni per
presentare le liste». Il governatore veneto non è l’unico a perdere la pazienza. Anche dentro la Lega cresce il nervosismo, perché il Veneto resta ancora un campo minato. Il nome c’è: Alberto Stefani, vicesegretario del Carroccio e volto giovane della nuova generazione leghista. Ma Meloni ha preteso che nel documento finale dell’accordo venga inserita una clausola scritta: nel 2027 la Lombardia passerà a Fratelli d’Italia. Salvini ha risposto con la consueta tattica del rinvio. Si dice disposto a “riconoscere la legittima aspirazione di FdI a un riequilibrio territoriale”, ma senza mai nominare il Pirellone. Meloni, invece, vuole nero su bianco l’impegno. E senza quel passaggio la premier non intende firmare nulla. Il gelo è tale che persino la convention di lancio di Stefani, prevista per mercoledì al Gran Teatro Geox di Padova, è stata congelata. Ufficialmente per motivi organizzativi, in realtà per non irritare la premier prima che la partita sia chiusa.
Nel frattempo Gasparri continua a martellare: «Il centrodestra non farà come Matteo Ricci, candidato nelle Marche e poi rimasto europarlamentare da sconfitto». Il riferimento non è casuale: serve a sottolineare che Forza Italia vuole dare un segnale di serietà istituzionale, ma anche a marcare la distanza da FdI, accusata di arroganza. La risposta dei meloniani, però, non si è fatta attendere. Nei corridoi di via della Scrofa si parla di “ricatti travestiti da principi”. E qualcuno, non troppo sottovoce, ironizza: «Magari Gasparri si preoccupa di più delle candidature che del centrodestra». Il clima non è migliore in Puglia, anche se una schiarita sembra a portata di mano. Lì il candidato dovrebbe essere Luigi Lobuono, ex presidente della Fiera del Levante, vicino all’area Tajani. Ma anche su quel fronte le fibrillazioni non mancano: Fratelli d’Italia teme che un eventuale flop pugliese possa essere letto come un boomerang per il governo, e chiede che la coalizione si presenti “unita e blindata” in ogni regione.
Dentro la Lega, infine, le acque sono tutt’altro che calme. Il passaggio del sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli da Noi Moderati a Forza Italia ha provocato una nuova frattura. Maurizio Lupi, leader dei moderati, ha chiesto pubblicamente le dimissioni del suo ex compagno di partito: «Non si può rappresentare un governo se si cambia casacca a metà legislatura». Gli azzurri, però, assicurano che Silli
lascerà il posto “nei tempi e nei modi opportuni”. Sul tavolo resta quindi un centrodestra che parla di unità ma si muove in ordine sparso. Meloni vuole blindare il Nord per il 2027, Salvini difende le sue roccaforti, Tajani tesse e taglia, Gasparri ammonisce, Zaia sbuffa. In mezzo, Cirielli, il candidato “congelato”, sospeso tra il sogno di conquistare la Campania e il rischio di perdere la poltrona di governo.
Il tempo stringe, le urne si avvicinano e la coalizione che guida l’Italia mostra tutte le sue crepe. Un paradosso politico che la premier, per ora, tiene insieme solo con la forza dell’abitudine e del potere. Ma ogni giorno che passa – e ogni vertice rinviato – somiglia sempre di più a un gioco di equilibrio sul filo. E nel tetris del centrodestra, per ora, i pezzi non si incastrano mai.