Dario Franceschini non ama i colpi di scena, ma quando parla lo fa per dettare la linea. E stavolta la linea è tracciata: serve una forza nuova, moderata, capace di riempire il vuoto che separa la sinistra movimentista dal grande bacino riformista ancora senza casa. Non è un addio al Pd – precisa subito – ma piuttosto un invito a fare spazio, a pensare in grande. E soprattutto a non lasciare quel campo a chi oggi lo guarda da lontano, senza capire come entrarci.
“Vorrei prevenire i retroscena estivi: io penso che per vincere sarebbe utile nascesse una forza moderata del centrosinistra che unisca e rafforzi un’area troppo frammentata. Tutto qui, perché è evidente che la mia casa è e resterà il Partito democratico guidato da Elly Schlein”.
Nessuno strappo, quindi, ma un disegno più largo, che punta a “compensare” lo spostamento a sinistra dell’asse Pd-M5s-Avs, ormai consolidato ma incapace, da solo, di scardinare la tenuta di Fratelli d’Italia. I numeri parlano chiaro: il partito di Giorgia Meloni veleggia ancora attorno al 30%, mentre i dem, pur in risalita, sembrano aver toccato il loro massimo. “Schlein ha scelto di stare a sinistra. Conte sta ancora più a sinistra, Avs sta a sinistra”, constata Franceschini con realismo. Ed è qui che si inserisce la sua intuizione: serve una gamba di centro.
Il centro, però, non si inventa a tavolino. Non basta una somma di sigle e buone intenzioni. Serve una lotta politica, e in quella – dice lui – emergerà chi è capace di guidarla: “Il leader si deve imporre nella lotta. Far partire la lotta e poi vedere nella lotta chi emerge, chi si impone. Non si può stabilire a tavolino chi debba farlo”.
Il valore stimato? “Il centro vale il dieci per cento”. E i nomi non mancano. “Alessandro Onorato è un nome, ma ci sono anche i sindaci come Gaetano Manfredi e la bravissima Silvia Salis di Genova”. Franceschini non lo dice apertamente, ma lascia intendere che perfino Beppe Sala, se solo volesse, potrebbe essere della partita: “Anche Sala, se solo volesse…”.
Dietro le quinte, il lavoro è già cominciato da tempo. Nella sua officina romana – diventata il quartier generale della riflessione centrista – si alternano volti noti del centrosinistra. L’ultimo, Goffredo Bettini. Obiettivo: riunire il puzzle di micro-movimenti che vanno da Ernesto Ruffini al pacifismo cattolico di Tarquinio e Ciani, passando per Iv, Azione, i liberal di Marattin e i civici. Il rischio, però, è che finiscano per pestarsi i piedi. Franceschini lo sa, e per questo alza la voce.
C’è da contrastare una destra che non solo resiste, ma rilancia. Il primo banco di prova sarà la riforma Nordio sulla giustizia, contro cui Franceschini promette battaglia: “Questo è un nuovo Papeete. Giorgia Meloni vuol prendersi i pieni poteri, ma noi non glielo consentiremo, ci opporremo con tutte le nostre forze allo scempio della Costituzione”.
L’attacco frontale alla premier segna l’inizio della fase due: quella del referendum costituzionale, previsto per i primi mesi del 2026, che potrebbe riscrivere gli equilibri della legislatura. “Se la premier dovesse perdere il referendum, come già accadde a Renzi, nessuno è pronto a scommettere che proseguirà fino a scadenza naturale”, dicono i bene informati. E in quel vuoto potrebbe inserirsi proprio la “nuova cosa” di centro.
Ma c’è un altro piano, più leggero ma altrettanto indicativo del momento. Franceschini sogna la televisione. Non per vanità, ma per ironia. “Posso dirlo? Vorrei avere un programma in Rai, alla Arbore. Io e Pier Ferdinando Casini”. E giù la battuta: “A noi vecchi democristiani è rimasta l’arte del cazzeggio. Andiamo in Rai!”. Casini lo accompagna con entusiasmo: “State parlando con Franceschini il ‘regista’, l’unico grande regista rimasto in Italia e io gli faccio d’aiuto”.
Un varietà del centro. Il format sarebbe già pronto: “Quelli che il centro”, tra nostalgia e provocazione. E mentre Frassica e Arbore restano irraggiungibili, i due democristiani si allenano al sarcasmo tra un’intervista e l’altra. “Divertirsi nella vita, e nella politica, è tutto”, dice Franceschini. Ma nessuno si illuda: dietro i sorrisi, si lavora sodo.
E intanto sui social lancia segnali: “Io penso che per vincere sarebbe utile nascesse una forza moderata del centrosinistra che unisca e rafforzi un’area troppo frammentata”. Traduzione: la gamba centrista non è più un’ipotesi, è una necessità.
Adesso si tratta di capire chi guiderà il corteo. Non sarà lui, lo ha fatto intendere più volte. Ma sarà qualcuno che sappia “vivere la lotta”, non galleggiare nei retroscena. E magari – chissà – sappia anche tenere il ritmo giusto per una trasmissione. Perché il nuovo centro, a quanto pare, dovrà saper parlare a tutti. Anche in prima serata.