Gedi ai greci di Antenna, lo scontro arriva al governo: Tajani invoca “mani italiane”, Salvini frena, Crosetto cerca garanzie

Crosetto, Salvini, Tajani

La vendita di Gedi al gruppo greco Antenna – e quindi il destino di testate come La Stampa e La Repubblica – smette di essere soltanto una partita industriale e diventa, di colpo, un caso politico. Il tema arriva ai vertici del governo e spacca i toni, le priorità, perfino il lessico: c’è chi parla di “interesse nazionale” e chi, al contrario, rivendica la normalità del mercato.

Antonio Tajani, chiamato a commentare la cessione del gruppo editoriale controllato da Exor, sceglie una linea netta, senza allusioni: «Se i quotidiani italiani rimangono in mani italiane, è meglio». Poi aggiunge, quasi a blindare la posizione da ogni accusa di dirigismo: crede «nel libero mercato, che alla fine decide». Ma il punto politico resta tutto nel secondo passaggio, quello che lega la proprietà alla tenuta democratica: «Meglio se restano italiane, per la libertà di informazione e per l’interesse nazionale – dice il ministro degli Esteri -. Speriamo che le cose volgano al meglio e si possano preservare i posti di lavoro e l’indipendenza dei giornali».

Parole che suonano come un auspicio ma anche come un avvertimento: non basta vendere, non basta “chiudere l’operazione”, bisogna farlo senza trasformare l’editoria in una scatola che cambia etichetta lasciando per strada autonomia e occupazione. Eppure, dentro la maggioranza, la sensibilità non è condivisa allo stesso modo.

Matteo Salvini, infatti, la mette su un piano quasi opposto: niente retropensieri, niente “patriottismi” editoriali, semmai una difesa della libertà d’impresa. «Siamo un Paese libero. Quindi, ognuno è libero di fare impresa e di comprare giornali, aziende, fabbriche, negozi e radio – spiega il ministro dei Trasporti -. Mi interessa sicuramente la tutela occupazionale, però mi sembra surreale che ora occorra decidere chi compra La Stampa o La Repubblica». Un’impostazione che, letta politicamente, suona come un via libera all’acquisizione da parte del gruppo greco di Theo Kyriakou: se il mercato decide, la politica – per Salvini – deve limitarsi a controllare che il lavoro non salti, evitando di trasformare la proprietà dei giornali in un tema di “indirizzo”.

È proprio su questo scarto che si inserisce la critica delle opposizioni. Angelo Bonelli, leader di Avs, contesta l’idea che la questione possa essere liquidata come una compravendita qualunque: «Salvini banalizza, non si tratta di “decidere chi compra un giornale”, ma di difendere il pluralismo dell’informazione e la qualità della nostra democrazia – avverte -. L’editoria non è una fabbrica qualsiasi: è un presidio democratico». La frase chiave è lì: non è soltanto una discussione sul capitale, ma sul ruolo pubblico di ciò che quel capitale controlla.

A provare a ricomporre – o almeno a rimettere il tema dentro un perimetro di garanzie – è Guido Crosetto, che sposta l’attenzione sul passaggio di consegne più che sul passaporto del compratore. «Quando un editore non ha più voglia, è meglio che vada via – dice il ministro della Difesa al nostro giornale – ma il passaggio di proprietà deve avvenire con tutte le garanzie necessarie». E poi, da piemontese, stringe l’inquadratura su La Stampa e sul suo legame storico con il territorio: «Auspichiamo una soluzione positiva, penso che si riuscirà a trovare un compratore italiano, in modo che il quotidiano resti legato al suo territorio».

Il quadro, insomma, racconta una maggioranza che sul dossier Gedi non parla con una voce sola: Tajani mette al centro l’italianità come fattore di tutela, Salvini difende la libertà del mercato e riduce la politica al tema lavoro, Crosetto cerca una via di mezzo fatta di garanzie e continuità territoriale. Nel mezzo, la pressione dell’opposizione che rivendica un principio: l’editoria non è “un’azienda come le altre”, perché ciò che produce non è soltanto un bilancio, ma informazione, e quindi potere. E quando il potere cambia mano, in Italia, non è mai solo un passaggio notarile.