Giani trionfa in Toscana, ma il vero terremoto è nella Lega: flop di Vannacci e scosse nel centrodestra

Firenze – Festeggiamenti per la rielezione a presidente della regione Toscana di Eugenio Giani

È un trionfo personale e politico quello di Eugenio Giani, che si riconferma governatore della Toscana con un margine netto su Alessandro Tomasi, il candidato di Fratelli d’Italia. Una vittoria attesa, ma che assume un significato nazionale per gli equilibri interni ai partiti e per le future strategie delle coalizioni.

Giani non solo vince, ma allarga la distanza rispetto a cinque anni fa, quando aveva battuto la leghista Susanna Ceccardi con otto punti di vantaggio. Stavolta il divario con Tomasi supera i quindici punti. Un segnale di solidità che rafforza il fronte del centrosinistra e riapre il dibattito su quale debba essere la sua vera identità.

Il presidente toscano ha corso con una coalizione ampia, che ha messo insieme il Partito democratico, la lista personale Giani – Casa Riformista (che include +Europa, Italia Viva, socialisti e repubblicani), il Movimento Cinque Stelle e Alleanza Verdi Sinistra. È rimasto fuori Carlo Calenda con Azione, ma il risultato parla chiaro: la scommessa del campo largo, pur imperfetta, ha pagato.

Con il 47,7% di affluenza, la più bassa nella storia regionale, la Toscana si conferma laboratorio politico. E la vera notizia è nel voto di lista: Casa Riformista sfiora il 9%, superando di slancio Avs (6,8%) e M5S (4,3%). Un segnale netto che riporta il Pd nella sua vocazione riformista e che rappresenta una bocciatura implicita per la linea più movimentista della segretaria Elly Schlein, poco incline a riconoscere al partito una spinta centrista.

Il risultato, commentano molti dirigenti dem, indica che “lo spazio a sinistra è già occupato da M5S e Avs, mentre la crescita passa dal centro”. Per la Schlein si tratta di un messaggio politico pesante, arrivato dalla regione simbolo del “voto rosso”, ma vinto grazie a una coalizione moderata e pragmatica.

Nel centrodestra, invece, si apre un fronte di crisi. La candidatura del meloniano Tomasi, sindaco di Pistoia, non è bastata a fermare la frana della Lega, che sprofonda sotto il 5%. Le proiezioni fissano il Carroccio al 4,4%, superato da Forza Italia con il 6,1%. È il peggior risultato leghista in Toscana da oltre quindici anni e una vera mazzata per Matteo Salvini, che aveva affidato la gestione della campagna al generale Roberto Vannacci, trasformandolo nel volto del partito.

Il flop è evidente. Nel 2020 la Lega aveva raggiunto il 21,7%, trainata proprio dalla Ceccardi. Oggi il partito perde tre quarti dei consensi, e la linea identitaria di Vannacci — tra convegni sulla “reimmigrazione”, post sessisti e provocazioni contro i manifestanti — si rivela un boomerang. “Chi vota ha sempre ragione e i toscani si sono espressi”, si limita a dire il generale, ma nel Carroccio il malumore è palpabile.

Le defezioni nelle liste, gli scontri interni e la fuga di consiglieri locali hanno indebolito ulteriormente la campagna. A Livorno, Vannacci è stato contestato duramente. A Pisa e Viareggio alcuni amministratori si sono dimessi per dissenso politico. E perfino Tomasi, il candidato presidente, ha criticato pubblicamente i toni del generale, definendoli “imbarazzanti”.

La disfatta toscana pesa come un macigno su Salvini, già sotto pressione per la gestione del partito. I governatori leghisti — Zaia, Fedriga e Fontana — osservano in silenzio, ma il messaggio è chiaro: la linea estremista e personalistica non porta più voti. In Veneto e in Friuli i sondaggi mostrano già segnali di erosione, mentre al Sud la Lega resta irrilevante.

Nel frattempo, Fratelli d’Italia consolida il suo primato nel centrodestra toscano, ma il dato politico più interessante è proprio quello dei moderati. Forza Italia, grazie all’asse tra Antonio Tajani e i candidati civici, riesce a intercettare il voto centrista deluso e si impone come seconda forza della coalizione.

Un equilibrio che ridisegna anche i rapporti interni al governo. Perché se Giani festeggia e la Schlein prova a intestarsi il risultato, nel centrodestra il terremoto è appena cominciato. E ha un nome e un volto: Roberto Vannacci, il generale che doveva rilanciare la Lega e che rischia invece di trascinare Salvini nel suo peggior incubo politico.