Giovanni Leone, un presidente dimenticato: il caso Moro, ascesa, scandalo e riabilitazione

Aldo Moro

Il 15 giugno 1978, mentre l’Italia era ancora sotto shock per l’assassinio di Aldo Moro, il presidente della Repubblica Giovanni Leone annunciava le sue dimissioni. Lo fece con parole semplici ma vibranti: “Ho il dovere di dirvi che avete avuto come Presidente un uomo onesto”. Un messaggio amaro, pronunciato da un uomo travolto da uno scandalo che, anni dopo, si sarebbe rivelato infondato.

Giovanni Leone era nato a Napoli il 3 novembre 1908. Figlio del popolo – il padre era usciere alla Camera dei Deputati – si laureò giovanissimo in giurisprudenza e divenne un accademico stimato, docente universitario e fine penalista. Durante il secondo dopoguerra fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana e partecipò all’Assemblea Costituente. Fu due volte presidente del Consiglio (1963 e 1968) e presidente della Camera. Nel dicembre 1971, dopo una lunga e travagliata elezione durata ben 23 scrutini, fu eletto sesto Presidente della Repubblica Italiana.

Durante il suo mandato, si trovò a gestire momenti difficilissimi: il terrorismo rosso e nero, la crisi economica, il golpe Borghese, la strage di Piazza della Loggia e poi quella dell’Italicus. Fu un presidente attento, istituzionale, riservato. Non fu mai protagonista, ma garante. Ebbe un rapporto rispettoso con Aldo Moro, che nelle sue lettere dalla prigionia – in cui biasimava quasi tutti i leader democristiani – non lo citò mai, quasi a volerlo risparmiare.

L’inizio della fine arrivò con lo scandalo Lockheed, una vicenda di tangenti internazionali legate alla vendita di aerei militari, che travolse diversi Paesi occidentali. In Italia, nel 1976, la magistratura e una commissione parlamentare indagarono su presunte tangenti versate a funzionari italiani per favorire l’acquisto di aerei C-130 dalla multinazionale americana.

Leone non fu formalmente indagato, ma venne chiamato in causa da più parti, anche con il sospetto (mai provato) che avesse coperto o favorito il giro di tangenti in quanto capo dello Stato. Il suo nome venne messo al centro di una martellante campagna stampa, guidata in particolare dal settimanale L’Espresso e da esponenti della sinistra radicale. Il clima politico era infuocato, e la figura di Leone divenne progressivamente isolata. Il colpo più pesante lo diede un pamphlet pubblicato nel 1978 da Camilla Cederna: Giovanni Leone: la carriera di un presidente. Il libro, che ebbe enorme risonanza, conteneva accuse e insinuazioni anche sulla famiglia di Leone, sulle sue frequentazioni, sui suoi rapporti con affaristi e mafiosi. Anni dopo si scoprì che molte di quelle informazioni erano false o distorte.

Il 15 giugno 1978, sotto una pressione insostenibile, Leone rassegnò le dimissioni con sei mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato. Fu il primo Presidente della Repubblica a dimettersi nella storia repubblicana. Lo fece in modo dignitoso, parlando agli italiani con voce ferma, rivendicando la sua onestà.

A distanza di decenni, le sue parole risultano ancora più pesanti, perché la giustizia gli ha dato ragione.

Negli anni successivi, le accuse a carico di Leone si sgretolarono una dopo l’altra. L’inchiesta giudiziaria sul caso Lockheed non coinvolse direttamente il Presidente, e anzi la Corte Costituzionale escluse la sua responsabilità penale. I collaboratori più vicini vennero prosciolti. Nel 1998, l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro affermò pubblicamente che a Leone “erano state chieste scuse che non sono mai state rese”. Lo stesso fecero alcuni dei suoi più accaniti accusatori, come Marco Pannella ed Emma Bonino, che gli chiesero perdono in una lettera pubblica. Ma Giovanni Leone, che nel frattempo si era ritirato dalla vita pubblica, rifiutò ogni forma di vittimismo: “Non porto rancore – disse – ma ho sofferto molto”.

Morì nel 2001, a 93 anni, nella sua Napoli. Oggi il suo nome è ricordato con maggiore equilibrio: quello di un giurista insigne, di un politico di alto profilo, e di un presidente che pagò con l’umiliazione pubblica la scelta di servire il Paese in uno dei suoi momenti più difficili.