Il Governo si sfila dai referendum: Tajani invita all’astensione. Scontro aperto con l’opposizione

Antonio Tajani

“Non rassegniamoci a una democrazia a bassa densità. E non rassegniamoci all’astensionismo”. Con queste parole, pronunciate il 25 aprile durante le celebrazioni per la Liberazione, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva lanciato un appello accorato alla partecipazione democratica, tracciando una linea netta tra l’impegno civico e la disaffezione al voto. Parole che, a meno di due settimane di distanza, risuonano oggi come un monito disatteso proprio da chi governa il Paese.


Il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani, leader di Forza Italia, ha infatti invitato esplicitamente i cittadini a non recarsi alle urne l’8 e 9 giugno, quando si voterà su cinque quesiti referendari riguardanti lavoro e cittadinanza. “Siamo per un astensionismo politico, non condividiamo la proposta referendaria”, ha dichiarato, rivendicando la legittimità della scelta e definendola “una forma di dissenso”. E a chi gli chiedeva se il partito stesse effettivamente lanciando un appello all’astensione, la risposta è stata secca: “Assolutamente sì”.
Nessuna ambiguità, dunque, ma un posizionamento chiaro da parte di una forza di governo che, insieme a Fratelli d’Italia, ha scelto di non confrontarsi nel merito dei quesiti, preferendo il silenzio delle urne al dibattito pubblico. Già nei giorni precedenti, il partito della premier Meloni aveva fatto circolare tra i parlamentari una nota interna in cui si invitavano gli elettori a “esprimere dissenso” disertando i seggi.


Il contesto in cui maturano queste scelte rende il gesto ancora più significativo. L’Italia è da anni segnata da un astensionismo crescente, con affluenze sotto il 50% in molte tornate elettorali. E proprio su questa fragilità democratica si innesta la strategia della maggioranza: impedire il raggiungimento del quorum, delegittimando la consultazione referendaria senza nemmeno affrontarne i contenuti.
Le reazioni delle opposizioni sono state immediate e durissime. Giuseppe Conte accusa il governo di voler “aggravare la crisi democratica del Paese”. Arturo Scotto del Partito Democratico parla di “cultura antidemocratica” e Riccardo Magi (+Europa) definisce le parole di Tajani “un’offesa al Capo dello Stato”, sottolineando la contraddizione con il recente appello di Mattarella alla partecipazione.
Preoccupazioni condivise anche da sindacati e associazioni. Il segretario della Cgil Maurizio Landini parla di “errore grave” e “presa di posizione pericolosa”, ricordando che “la partecipazione politica è l’essenza della nostra democrazia”. Anche la segretaria del PD, Elly Schlein, ha legato il significato del referendum al tema della sicurezza e della dignità del lavoro, rilanciando: “Non possiamo accettare che l’Italia sia un Paese fondato sul lavoro povero, precario e insicuro”.


A rendere ancora più evidente la distanza tra le istituzioni e l’esecutivo è l’assenza di una campagna informativa da parte del governo. Nessun messaggio sui siti istituzionali, nessun invito a conoscere o discutere i contenuti dei quesiti. Solo silenzio. Un silenzio che pesa, soprattutto in una democrazia dove il diritto al voto è sempre più esercitato da una minoranza. Così, mentre il Quirinale il 25 aprile richiamava al dovere civico e al valore del suffragio, l’esecutivo risponde con una strategia opposta: delegittimare il voto, disincentivare la partecipazione, fare dell’astensione un atto politico. Una linea che riapre un conflitto mai sopito tra rappresentanza e sovranità popolare, e che trasforma una consultazione democratica in un nuovo terreno di scontro tra maggioranza e opposizione.