Il Pd torna una polveriera: dopo Ucraina e legge elettorale, esplode la frattura sul ddl Delrio contro l’antisemitismo e vacilla la pax di Schlein

Elly Schlein

Il Partito democratico è di nuovo una polveriera. Dopo gli scontri sulle armi all’Ucraina e le tensioni sulla legge elettorale, il Nazareno si spacca anche sul disegno di legge presentato da Graziano Delrio contro l’antisemitismo. Una frattura che va ben oltre il singolo provvedimento e che investe l’intera linea politica della segretaria Elly Schlein, già sottoposta da mesi a pressioni interne e a un equilibrio sempre più instabile tra anime diverse del partito.

Secondo il Corriere della Sera, nella bocciatura del progetto Delrio da parte della segreteria c’è «il desiderio, quasi l’obbligo, di non avere nessun nemico a sinistra, a partire dalla Cgil di Maurizio Landini, che in caso di primarie può essere l’ago della bilancia». Un passaggio che fotografa con nettezza il cuore del problema: il timore di rompere l’alleanza con la sinistra sociale e sindacale pesa più della volontà di affrontare in modo frontale un tema incendiario come l’antisemitismo.

È possibile, come qualcuno sospetta, che dietro l’iniziativa di Delrio ci sia anche la volontà di colpire politicamente la segretaria. Ma al netto delle manovre interne, resta il fatto che quel disegno di legge ha scoperchiato una zona grigia che nel Pd si preferisce spesso lasciare in ombra. A mettere in guardia è stato anche Gad Lerner, che si è rivolto direttamente a Delrio con parole nette: «Ma non ti rendi conto che la legge speciale a tutela di noi ebrei, pur con le migliori intenzioni, finirà solo per fomentare il pregiudizio antisemita e metterci ancor più nel mirino?». Il suo intervento ha aperto un dibattito vero, ma ha anche acceso una miccia che si è rapidamente trasferita sui social.

Quel post ha raccolto una valanga di commenti, spesso di apprezzamento ambiguo. Tra questi, uno in particolare è diventato simbolo della deriva del discorso pubblico: «Condivido tutto, ma è da evidenziare che l’odio per gli ebrei lo sta fomentando il governo nazista di Israele. Fino a due anni fa c’erano solo pochi folli nostalgici del nazismo, oggi a odiare gli ebrei ci sono milioni di persone». Una frase che ha fatto esplodere la polemica e che riassume plasticamente la difficoltà, dentro e fuori il Pd, di tenere distinti il giudizio sul governo Netanyahu, la condanna del pogrom del 7 ottobre e la tragedia delle stragi di Gaza dal rifiuto netto di ogni forma di antisemitismo.

È proprio qui che, per molti osservatori, si consuma la vera ambiguità del partito. Il merito del ddl Delrio si perde sullo sfondo, inghiottito da una battaglia identitaria in cui prevale l’esigenza di non urtare nessun alleato potenziale a sinistra. La priorità sembra diventare quella di non scontentare la Cgil di Maurizio Landini, considerata una leva decisiva in caso di future primarie. È una logica difensiva che condiziona pesantemente ogni scelta.

Le ambiguità emerse dopo le parole di Francesca Albanese, seguite all’aggressione alla redazione della Stampa, vengono lette sullo stesso piano. Anche in quel caso, per molti nel Pd è mancata una presa di posizione netta, con il risultato di alimentare l’impressione di un partito che tentenna proprio sui temi che più chiamano in causa i valori fondativi della sinistra democratica.

È a partire da un terreno che brucia come quello dell’antisemitismo che sembra incrinarsi la pax schleiniana, faticosamente costruita in un partito storicamente rissoso e con alleati tradizionalmente riottosi. Una tregua che oggi appare sempre più fragile, sotto la pressione incrociata delle grandi questioni di politica estera e delle battaglie istituzionali interne.

Il quadro non migliora se si guarda agli altri dossier. Sull’Ucraina, le divisioni nel centrosinistra restano evidenti. Se nel centrodestra le spaccature sono persino eclatanti, con Matteo Salvini tornato a difendere apertamente le ragioni di Mosca, lì almeno esiste un governo che alla fine prende decisioni, con il leader leghista costretto a votarle. Nel Pd, invece, la linea resta frastagliata, con sensibilità profondamente diverse sul sostegno a Kiev e sul ruolo dell’Europa nel conflitto.

Ed è proprio il giudizio sull’Europa a intrecciarsi inevitabilmente con quello sulla guerra. Anche su questo fronte, nel partito di Schlein i contrasti non mancano e si riflettono in una difficoltà cronica a costruire una posizione riconoscibile, capace di tenere insieme anima pacifista, atlantismo critico e fedeltà al progetto europeo.

A tutto questo si somma il dossier sul referendum sulla giustizia. In zona Nazareno si registra una evidente difficoltà a trovare una strategia chiara. Una parte consistente dei riformisti non considera quella riforma il male assoluto, mentre inizialmente si era immaginata una campagna tutta giocata in bianco e nero, come se il referendum fosse l’anticamera del fascismo e il primo passo di una deriva autoritaria. Sarebbero stati gli stessi magistrati, contrarissimi alla riforma, a suggerire di abbassare i toni apocalittici. Il risultato è stata una frenata senza un vero piano alternativo, con il paradosso che oggi del referendum parla più il centrodestra del centrosinistra.

Neppure sulla legge elettorale regna chiarezza. Il centrodestra vuole metterci mano per evitare il rischio di pareggi soprattutto al Senato, con il conseguente timore di instabilità e governi tecnici. Nel Pd, però, in molti giurano che Schlein, pur non potendolo dire apertamente, vedrebbe con favore una riforma che preveda il nome del candidato premier sulla scheda. Un altro potenziale motivo di divisione interna, che si somma ai precedenti.

Intanto, sul piano simbolico, arrivano anche le provocazioni. Ad Atreju, la manifestazione della destra, qualcuno ha esibito un cartellone con i volti di Giuseppe Conte ed Elly Schlein accompagnati dalla scritta: «Scusate se vi abbiamo fatto litigare». Una goliardata che però fotografa una realtà politica: la competizione per la leadership dell’opposizione e la fatica del Pd a mantenere una linea unitaria.

Tra Ucraina, Europa, antisemitismo, giustizia e legge elettorale, il partito di Schlein si ritrova così attraversato da una serie di fratture che non sono più soltanto tattiche. Sono divisioni che toccano l’identità stessa del Pd, il suo rapporto con la sinistra sociale, con il mondo dei sindacati e con l’elettorato più moderato.

La bocciatura del ddl Delrio ha funzionato da detonatore. Ha fatto emergere ambiguità, paure e calcoli politici che covavano da tempo sotto la superficie. E ha riportato il Pd esattamente dove era prima della segreteria Schlein: nel cuore di una contesa permanente tra esigenze di unità e spinte centrifughe, tra vocazione di governo e tentazione identitaria. Una polveriera, appunto, che a ogni scintilla rischia di tornare a esplodere.