Nell’Italia della seconda e magari anche terza Repubblica, manca un grande partito di centro, capace di unire le anime cattolico-popolari, le diverse sensibilità sociali, l’impegno sindacale e lo sguardo progressista. Un partito che interpreti i bisogni di quella vasta area oggi senza voce. In molti ci hanno provato, tutti hanno fallito. Ma il vuoto lasciato dalla Democrazia Cristiana continua a pesare sul sistema politico italiano. Soprattutto nel Mezzogiorno.
Una casa comune che non c’è più
Dalla fine della Democrazia Cristiana, l’Italia ha smarrito non solo un partito, ma una visione, una rete di rappresentanza capillare, un equilibrio tra riformismo sociale e moderazione istituzionale. La DC era il grande contenitore dove convivevano il mondo cattolico impegnato, il sindacalismo bianco (CISL), l’associazionismo, i professionisti, i piccoli imprenditori, gli amministratori locali, gli intellettuali democratici. Era capace di parlare alle famiglie, alla periferia, al ceto medio, ai contadini, agli operai, ai giovani universitari, mantenendo una coerenza di fondo fondata su valori cristiani declinati in chiave pluralista e progressista.
Con la sua dissoluzione nel 1994, questo universo si è frantumato. E da allora, tra ambizioni personali, frammentazioni ideologiche e trasformismi, nessuno è riuscito a ricostruire un partito autenticamente centrista, capace di guardare a sinistra senza perdere l’identità cattolico-popolare.
In trent’anni si è parlato spesso di una “nuova DC” o di un “partito arcipelago”, inteso come soggetto capace di raccogliere cento anime, cento sigle, cento personalità del centro. Ma questi tentativi sono naufragati uno dopo l’altro. Ecco una mappa dei principali.
1994-1999: La diaspora DC e la moltiplicazione dei piccoli partiti
Dopo Tangentopoli e il crollo della DC, si formano il Partito Popolare Italiano (PPI), il Centro Cristiano Democratico (CCD), i Cristiani Democratici Uniti (CDU). Tutti rivendicano l’eredità democristiana, ma si dividono tra chi sostiene Berlusconi (Casini, Mastella) e chi guarda al centrosinistra (Martinazzoli, Prodi). Il “partito dei 100” inizia già con 100 rivoli distinti.
1995-1998: L’UDR e il governo D’Alema
Francesco Cossiga tenta di costruire l’Unione Democratica per la Repubblica (UDR), per ricomporre l’area centrista. Ma è un’operazione calata dall’alto e di pura geometria politica. Si rivela un’illusione e finisce nel nulla dopo pochi anni.
2002: La Margherita
Con Rutelli, Letta, Castagnetti e altri, nasce La Margherita: un’unione di ex popolari, repubblicani e riformisti sociali. È forse il tentativo più serio di ricostruire un centro a sinistra. Ma nel 2007 confluisce nel PD, perdendo autonomia, radici e identità cattolico-sociale.
2008-2013: L’Udc, Casini e il Terzo Polo
Pier Ferdinando Casini rilancia l’UDC come partito centrista, autonomo da destra e sinistra. Tenta il “partito della nazione”, ma non decolla. Con Fini e Rutelli lancia il Terzo Polo (2010), che alle elezioni non supera il 5%. Il popolo centrista non si riconosce in leadership scollegate dalla realtà sociale.
2013: Scelta Civica di Mario Monti
Il governo tecnico di Monti diventa la base per un nuovo soggetto liberal-popolare: Scelta Civica. Ma è un progetto elitario, senza radici sociali. Alle politiche del 2013 raccoglie il 10%, poi implode tra faide interne e assenza di un’anima popolare.
2019-2023: Italia Viva, Azione e il fallimento del centro tecnocratico
Renzi e Calenda danno vita al progetto più recente di un centro “moderno”. Ma Italia Viva e Azione sommano più ambizioni personali che visioni collettive. Il Terzo Polo alle politiche del 2022 si ferma sotto l’8%. L’idea di un centro come puro ceto politico tecnico, privo di radici valoriali, si rivela ancora una volta sterile.
Perché falliscono tutti?
- Manca un radicamento sociale
Nessuno dei tentativi ha saputo rifondare un partito partendo dai territori, dalle parrocchie, dalle ACLI, dal sindacato, dalle cooperative. È mancato l’elemento popolare.
- I progetti sono personalistici
Da Cossiga a Monti, da Casini a Renzi, da Rutelli a Calenda, ogni iniziativa è legata a un leader e non a una comunità politica. Senza comunità, non c’è futuro.
- Il sistema elettorale penalizza il centro
Con il maggioritario, il centro è schiacciato tra destra e sinistra. È costretto a scegliere alleanze innaturali, perdendo la sua terzietà. Ma ora che si parla di nuova legge elettorale proporzionale con le preferenze, il centro potrebbe tornare ad avere un senso e una forza.
- Si è persa la bussola della Dottrina sociale della Chiesa
Non si può rifondare un partito di centro senza riscoprire i principi della Dottrina sociale cristiana: dignità della persona, solidarietà, sussidiarietà, bene comune, lavoro come fondamento. Sono principi che oggi non trovano più spazio nella politica quotidiana.
Un vuoto culturale e politico che pesa ancora
Il vuoto lasciato dalla DC è anche un vuoto di pensiero. Manca oggi un luogo politico in cui un giovane cattolico impegnato, un amministratore locale sensibile alla coesione sociale, un sindacalista CISL, un docente, un medico, un imprenditore agricolo possano sentirsi rappresentati. Il PD ha assorbito in parte queste figure, ma senza dar loro centralità. Il centrodestra non parla quel linguaggio. I movimenti ecclesiali, salvo rare eccezioni, si sono ritirati dalla sfera pubblica.
Il bisogno di una nuova “balena sociale”
Più che una “nuova DC” nostalgica, serve una “balena sociale” capace di:
- Unire riformismo e partecipazione;
- Parlare alle famiglie e ai giovani, ai pensionati e agli studenti, ai lavoratori e agli artigiani;
- Difendere i diritti senza cadere nel radicalismo, e sostenere le imprese senza cedere al liberismo;
- Offrire una visione etica della politica, dove la dignità umana venga prima del profitto o del consenso.
Un partito di 100 anime, sì, ma davvero capaci di camminare insieme.
Oggi l’Italia ha bisogno come non mai di un nuovo centro vero: né conservatore né tecnocratico, ma popolare, pluralista, sociale, cristianamente ispirato. Un partito che guardi a sinistra ma non rinneghi la tradizione moderata. Che ascolti la piazza ma sappia governare. Che unisca, dove altri dividono.
Finché il “partito arcipelago” resterà solo una somma di ambizioni personali e non una casa comune costruita dal basso, quel centro continuerà a non esistere. E con esso, resterà senza voce una vasta parte del Paese che ancora oggi non sa per chi votare. Nella seconda parte di questo nostro dossier, parleremo del peso che potrebbe avere soprattutto nel sud, un nuovo partito di centro.
il dossier di Luca Falbo e Battista Bruno