Israele a rischio stop dall’Uefa: tra politica, guerra e pallone la decisione che può cambiare la storia del calcio europeo

Il calcio europeo rischia di affrontare una delle decisioni più delicate della sua storia recente: l’esclusione di Israele da tutte le competizioni internazionali organizzate dall’Uefa. Secondo quanto rivelato dal Times, la discussione è già avanzata e la maggioranza dei membri dell’organizzazione sarebbe orientata verso la sospensione. La riunione decisiva è attesa per la prossima settimana, ma i segnali che arrivano da Nyon non lasciano presagire un semplice dibattito.

Le conseguenze sarebbero pesantissime. La nazionale israeliana si vedrebbe tagliata fuori dal cammino verso i prossimi Mondiali, essendo le qualificazioni gestite nella loro fase preliminare proprio dall’Uefa. Non solo: il Maccabi Tel Aviv, attualmente impegnato in Europa League, sarebbe estromesso con effetto immediato dalla competizione. Un colpo durissimo per un movimento calcistico che negli ultimi anni aveva faticosamente cercato di ritagliarsi spazio sulla scena europea.

Il contesto politico rende la vicenda ancora più esplosiva. La guerra a Gaza, le proteste internazionali e la crescente pressione diplomatica hanno trasformato il pallone in un terreno di scontro simbolico. Israele viene accusato da più fronti di non poter continuare a partecipare ai tornei continentali come se nulla fosse. Non a caso, diversi Paesi membri spingono per un segnale netto, ritenendo che il calcio non possa rimanere impermeabile a quanto avviene sul piano geopolitico.

Dall’altra parte, a Tel Aviv la reazione è stata immediata. Il ministro dello sport, Miki Zohar, ha dichiarato di lavorare insieme al premier Benyamin Netanyahu per scongiurare quello che definisce “un atto profondamente ingiusto e politico”. L’argomento centrale della difesa israeliana è che lo sport dovrebbe restare neutrale e non trasformarsi in un’estensione dei conflitti internazionali. Ma la linea sembra sempre più difficile da sostenere.

Il calendario, intanto, aggiunge ulteriore tensione. Il 14 ottobre Israele dovrebbe affrontare l’Italia a Udine in una gara valida per le qualificazioni mondiali. Un appuntamento che da settimane solleva polemiche e appelli a trasformare l’evento sportivo in una protesta contro la guerra. Se l’Uefa decidesse per la sospensione, la partita non si disputerebbe mai, con conseguenze anche sulla regolarità del girone di qualificazione.

Non sarebbe la prima volta che il calcio subisce scosse dovute a crisi internazionali. La Russia è stata esclusa dalle competizioni Uefa e Fifa dopo l’invasione dell’Ucraina, e negli anni ’90 la Jugoslavia fu estromessa durante le guerre balcaniche. Ogni volta, la linea di confine tra sport e politica si è rivelata labile, confermando che il calcio è inevitabilmente parte del contesto in cui si muove.

Per Israele lo scenario appare ancora più pesante perché arriva in un momento di crescente isolamento. Restare fuori dal circuito europeo significherebbe perdere non solo opportunità sportive ma anche un canale di visibilità internazionale che ha un peso enorme in termini di immagine. Il Maccabi Tel Aviv, fiore all’occhiello del calcio israeliano, si vedrebbe cancellare mesi di lavoro e di investimenti.

Il Times scrive che la decisione non è ancora stata formalizzata, ma sottolinea come il consenso attorno alla sospensione stia crescendo di giorno in giorno. Nei corridoi di Nyon, l’orientamento prevalente è che non si possa più rimandare una scelta, pena la perdita di credibilità dell’organizzazione.

In Israele, però, si continua a lavorare come se nulla fosse. La federazione prepara le partite, lo staff della nazionale conferma i programmi, i club disputano le coppe. Ma la sensazione, condivisa dagli osservatori, è che il destino sia già segnato. L’Uefa, sotto pressione politica e morale, sembra pronta a un passo che cambierà gli equilibri dello sport continentale.

Se l’esclusione sarà confermata, il calcio europeo vivrà un terremoto di proporzioni storiche. Per Israele, l’ennesimo segnale di isolamento. Per l’Uefa, una decisione che entrerà nei manuali come uno spartiacque, dove il confine tra pallone e politica non è più distinguibile.