La vittoria di Occhiuto spazza via gli alibi del campo largo: l’effetto degli avvisi di garanzia non funziona più

La vittoria schiacciante di Roberto Occhiuto in Calabria non è solo un risultato elettorale: è un verdetto che ricompatta il centrodestra e sbriciola alcune narrative costruite a sinistra nelle ultime settimane. In una tornata con un’affluenza estremamente bassa — il 43,1% dell’elettorato — il governatore uscente ha ottenuto un margine nettissimo, superando l’avversario di oltre quindici punti. Quel che emerge, al netto delle interpretazioni di comodo, è che gli avvisi di garanzia e le inchieste giudiziarie non rappresentano più un fattore automatico di penalizzazione elettorale quando il candidato riesce a costruire un rapporto diretto con il territorio e a parlare quotidianamente ai bisogni degli elettori.

La débâcle del cosiddetto “campo largo” è altrettanto evidente. La scelta del Movimento 5 Stelle di puntare su Pasquale Tridico, imposto dalla leadership di Giuseppe Conte, si è rivelata disastrosa. Il risultato calabrese mette in chiaro che il teorema del “vinci solo con i nostri candidati” non funziona automaticamente; anzi, spesso produce candidature deboli e divisive che non sanno intercettare l’elettorato reale. Arturo Parisi, inventore dell’Ulivo, non ha usato mezzi termini: la prova calabrese dimostra che la sommatoria di sigle e deleghe dall’alto non è una strategia vincente se non poggia su radicamento e progettualità locali.

Altro punto da sottolineare è il cosiddetto “fattore Gaza”. Nonostante le numerose manifestazioni e l’attenzione mediatica, la dinamica elettorale in Calabria dimostra che le piazze di protesta non si trasformano automaticamente in voti. Le piazze rispondono a logiche di emotività e partecipazione civica talvolta remote dalle scelte di un elettorato che, alla fine, valuta concretezza e prospettive economiche. Il paragone con Pietro Nenni — «piazze piene, urne vuote» — torna utile: indignazione non significa necessariamente conversione elettorale.

Sul piano dei partiti, le conseguenze sono immediate e rilevanti. Il Partito democratico e la segretaria Elly Schlein si trovano davanti a una smentita che difficilmente potrà essere ignorata. L’alleanza con il Movimento 5 Stelle e l’asse con Conte non hanno prodotto l’impennata di consensi promessa; anzi, il risultato calabrese fornisce argomenti ai critici interni del Pd che invocano una riflessione sulla leadership e sulla strategia nazionale. Le tensioni tra i sostenitori di una linea più moderata e i fautori dell’unità a ogni costo rischiano di acuire divisioni già presenti.

Per Forza Italia, invece, il trionfo è clamoroso. Il partito di Antonio Tajani esce rafforzato: conquista il presidio regionale e si conferma primo nome nella coalizione. È la dimostrazione che quando la coalizione di centrodestra si presenta con un candidato forte, credibile e radicato — nonostante un avviso di garanzia — la preferenza popolare può premiare la percezione di efficacia amministrativa. Occhiuto ha saputo trasformare l’imputazione giudiziaria in un tema di scontro politico, giocando la carta del governo locale e della continuità amministrativa.

Il Movimento 5 Stelle è il soggetto che esce più malconcio da questa consultazione. La sconfitta di Tridico evidenzia i limiti del post-grillismo, incapace di produrre leadership locali capaci di aggregare oltre la nostalgia del governo passato. Il tentativo di Conte di imporre candidati per ricostruire un asse politico si è dimostrato inefficace: la politica italiana reclama, sempre più, profili che crescano dal territorio e che sappiano intrecciare proposte sociali e sviluppo economico.

C’è poi un tema che trascende la geografia regionale: la partecipazione. Il dato sull’affluenza — meno della metà degli aventi diritto — è un campanello d’allarme. Nessuna forza politica può dirsi pienamente legittimata se la maggioranza dei cittadini non partecipa. In questo quadro, il deficit di mobilitazione pesa soprattutto sulla sinistra, che fatica a rinnovare la propria base sociale e a riconquistare il Nord e il ceto medio, elementi decisivi in chiave nazionale.

Altro elemento di lettura riguarda il racconto pubblico e mediatico. Le coalizioni che nascono per mera sommatoria di sigle, prive di un progetto comune solido e di una leadership condivisa, finiscono per consumarsi sul piano della comunicazione senza incidere nella sostanza. Ogni volta che si punta tutto sul trionfo mediatico o sulla “somma delle proposte” senza un disegno economico coerente, la coalizione si rivela fragile. L’esperienza calabrese è la fotografia plastica di questo errore strategico.

Infine, il quadro politico nazionale non potrà ignorare le implicazioni: la vittoria di Occhiuto dà ossigeno al centrodestra, ma non legittima l’autocompiacimento. Governare è fatto di risposte concrete ai problemi di lavoro, sanità e infrastrutture; è un percorso fatto di quotidianità amministrativa e di misure reali, non solo di slogan. Per la sinistra è il tempo della autocritica e della ricostruzione del rapporto con il Paese reale; per il centrodestra è l’occasione per consolidare e offrire risultati tangibili all’elettorato.

La Calabria parla dunque con chiarezza: la politica italiana non è più sensibile come una volta alle inchieste giudiziarie quando il candidato riesce a costruire un rapporto forte con i propri elettori; le piazze di protesta non sono un termometro del consenso; e le coalizioni tese e artificiose, che non si radicano sul territorio, pagano il prezzo dell’irrilevanza. Per il centrosinistra è tempo di autocritica, non di alibi; per il centrodestra è invece tempo di capitalizzare la vittoria, ma anche di non indulgere nell’autocompiacimento: governare richiede concretezza, risposte alla quotidianità e capacità di governare i problemi economici e sociali, non solo di raccogliere consensi. Insomma, la Calabria non è solo una cartina elettorale ma una lezione politica: rappresenta un monito per chi pensa che coalizioni di facciata e narrative mediatiche possano sostituire un progetto reale e radicato. Chi saprà interpretarla, potrà avere un futuro; chi la ignorerà, rischia l’oblio.