“L’Export cresce”: ma è davvero così? Il racconto ottimista del governo si scontra con i numeri

Premier Giorgia Meloni

La narrazione del governo Meloni insiste su un’Italia in ripresa, con un export che “cresce” e una tenuta dell’economia nonostante le turbolenze globali. Ma basta guardare i numeri – freddi, implacabili, ufficiali – per accorgersi che l’immagine trasmessa è più propaganda che realtà.

Il sistema produttivo italiano sta attraversando una crisi strutturale che si aggrava mese dopo mese. A marzo 2025 l’export è sceso dell’1,0% su base annua, confermando un trend negativo già visibile da tempo: nel 2023, primo anno pieno di governo Meloni, le esportazioni erano diminuite dello 0,039%, nel 2024 la contrazione è peggiorata con un -0,4%. Una curva discendente che smentisce categoricamente ogni trionfalismo.

A questi dati si affiancano segnali convergenti e allarmanti: la produzione industriale è in calo da 26 mesi consecutivi, una striscia negativa che rappresenta un record negativo nella storia recente del nostro paese. Il fatturato industriale ha registrato flessioni in 21 degli ultimi 24 mesi, mentre le vendite al dettaglio continuano a diminuire, erodendo ulteriormente il potere d’acquisto degli italiani.

Nel frattempo, l’inflazione ad aprile 2025 è risalita all’1,9% su base annua. Ma è il carrello della spesa a lanciare l’allarme più concreto: i beni alimentari e di prima necessità registrano un’accelerazione del tasso tendenziale, passando dal +2,1% al +2,6%. Un incremento che pesa proprio sulle fasce più fragili, sulle famiglie con figli, sugli anziani a reddito fisso, su chi ogni mese è costretto a fare i conti con bollette, mutui e scaffali sempre più cari.

L’Italia non cresce più. E se lo fa, è a ritmi talmente impercettibili da non incidere sulla qualità della vita: il cosiddetto “zero virgola”, nella migliore delle ipotesi. La stagnazione non è più un rischio: è un dato di fatto. Il Paese è inchiodato a una quasi-recessione latente, resa ancora più grave dall’assenza di una vera politica industriale.

I settori trainanti – dalla manifattura alla meccanica di precisione, fino alla moda e all’agroalimentare – stanno perdendo terreno, spesso per mancanza di investimenti, per una burocrazia soffocante o per scelte strategiche miopi. L’export, da sempre ancora di salvezza dell’economia italiana, viene indebolito da una domanda estera rallentata e da una competitività interna ormai minata.

Nel frattempo, il governo continua a inseguire slogan e nemici immaginari, ignorando le richieste delle imprese, dei lavoratori, degli enti locali. La questione sociale cresce, ma è ignorata. Le famiglie si impoveriscono, ma il dibattito politico resta incagliato su temi marginali.

L’Italia ha bisogno di un vero piano industriale, capace di puntare su innovazione, formazione, green economy e digitalizzazione. Serve una politica fiscale che incentivi davvero le imprese a investire e assumere. Ma soprattutto, serve un ritorno alla verità dei numeri, al dovere di raccontare la realtà senza maquillage.

Negare la crisi non la cancella. La peggiora. Se l’Italia non riparte adesso, rischia di sprofondare in una stagnazione strutturale, sempre più lontana dai suoi partner europei e sempre più incapace di offrire un futuro dignitoso ai suoi cittadini.