«Ve lo avevamo promesso, lo abbiamo fatto»: con queste parole, Giorgia Meloni, in una recente intervista all’Adnkronos, ha annunciato l’intenzione di chiedere un secondo mandato agli elettori. Una formula dal sapore presidenzialista che, però, stride con la realtà del sistema istituzionale italiano. In Italia non esiste – ancora – un’elezione diretta del presidente del Consiglio. La nostra resta una Repubblica parlamentare.
Non si tratta di una questione formale ma sostanziale. La narrazione politica ha ormai travolto la grammatica costituzionale. La premier parla di un “bis” come se fosse una naturale riconferma personale, ma in Italia si vota per i partiti, non per il capo del governo. La maggioranza nasce in Parlamento e il presidente della Repubblica ha il compito di verificarne l’esistenza. È da lì che si forma un esecutivo. Non da un’elezione diretta.
Meloni ha però colto un punto: il linguaggio populista funziona, perché semplifica. E in tempi di crescente disaffezione, parlare come se esistesse una legittimazione diretta rafforza l’immagine di una leader “scelta dal popolo”. Il refrain del “ci hanno scelti gli italiani” è potente, ma non sempre corrisponde alla realtà. Alle ultime politiche, il centrodestra ha ottenuto il 43,8% dei voti, ma – grazie al meccanismo elettorale – controlla oggi il 54% della Camera. Un effetto distorsivo, figlio di un sistema misto con correttivi maggioritari. Un “doping” che regala certezze numeriche, ma sfalsa la rappresentanza.
Oggi il Parlamento è tutt’altro che bipolare: ci sono dieci gruppi alla Camera, più di quelli della Prima Repubblica. Ma l’immagine mediatica è ancora quella di uno scontro diretto tra due blocchi. Il racconto non coincide con i numeri. E questa confusione genera un clima favorevole a derive semplificatrici, che possono diventare pericolose.
Non è solo un problema italiano. Nel mondo cresce l’onda populista che vede nella democrazia non un insieme di regole e limiti, ma un mandato illimitato concesso dal voto. Chi governa si sente sciolto dai vincoli, dai controlli, dalle autorità indipendenti. Le istituzioni diventano ostacoli da aggirare, non strumenti da rispettare.
Il rischio? Che la narrazione diventi più forte della Costituzione. E che, mentre ci convinciamo di scegliere i leader, si sgretoli lentamente la democrazia parlamentare. La forma resta, ma la sostanza cambia. Il campanello d’allarme suona da tempo. Meglio ascoltarlo prima che sia troppo tardi.