Nomine, rimpasti, e legge di Bilancio: il 2026 di Meloni non sarà un anno qualunque

Premier Giorgia Meloni

Sarà un anno lungo, lunghissimo per Giorgia Meloni. Non perché manchino sole le ore di sonno, ma perché a tenerla sveglia saranno i numerosi dossier che si accumulano sul tavolo di Palazzo Chigi. Tra questi, il più parlato: le nomine dei vertici delle partecipate dello Stato.
Una partita tutt’altro che tecnica, quella delle poltrone pubbliche, che in Italia ha sempre il sapore del Risiko.

Meloni lo sa: ogni nomina è un messaggio politico e un segnale di forza o di equilibrio. È il momento in cui si misura chi conta davvero, e chi invece resta con la sedia vuota in mano. Eppure, la premier sembra voler affrontare la partita con calma glaciale, quasi britannica.
Come se bastasse un po’ di understatement per evitare che gli alleati, fiutino l’occasione per chiedere un po’ più di spazio, o meglio, un po’ più di potere.

Dove chiaramente ricordiamo in questa tornata di nomine, sicuramente non mancherà la riconferma di qualche fedelissimo di Giorgia Meloni, forse riconfermato in una società dove magari non fa proprio al caso suo. È presto ancora per fare nomi con precisione, ma con ogni probabilità possiamo dire che qualche sicurezza di nomina, la si intravede sicuramente nella buona e cara Eni.

Poi c’è lui, il grande spettro del rimpasto. Se ne parla sottovoce, ma se ne parla. 
Meloni, però, non vuole sentirne parlare. Ufficialmente, perché “non è il momento”. In realtà, perché teme che un rimpasto sembri un’ammissione di colpa, una toppa politica per coprire i buchi lasciati da qualche ministro o sottosegretario un po’ troppo creativo.

Il problema è che questa volta un piccolo rimpasto potrebbe più che farle bene. Darebbe ossigeno a un governo che, dopo anni, mostra qualche scricchiolio di stanchezza e qualche volto un po’ troppo ingrigito.
 Certo, il rischio è che qualcuno interpreti la mossa come segno di debolezza.

Ma, come direbbe il buon Andreotti, che di rimpasti ne fece sei in un solo giorno senza battere ciglio, “il potere logora chi non ce l’ha, ma anche chi non lo rinnova”. Meloni, invece, sembra cauta a toccare il castello. Forse per paura di farlo crollare con qualche persona non adatta.
E allora toccherebbe semplicemente ascoltare di più qualche consiglio.

Eppure diciamocelo, con la legge di bilancio alle porte, le nomine delle partecipate da chiudere, non c’è più spazio per il braccino corto della prudenza. Il 2026 potrebbe essere l’anno della verità per il governo Meloni: o riesce a gestire il caos con l’eleganza di un direttore d’orchestra, o rischia di trovarsi con troppi strumenti che suonano ognuno per conto proprio, dove a lungo andare si impasticcerebbe da sola.

E sarebbe un gran peccato, per un governo gestito da una leader come lei, forte non solo fisicamente, ma anche mentalmente, e soprattutto con una grande probabilità di assicurarsi un proseguo a fine legislatura.
 Un piccolo rimpasto quindi, fatto con intelligenza e senso politico, non sarebbe un salvagente, ma un segnale di vitalità, progresso, e continuità garantita.

di Carlo Mazzei