In politica i tempi lunghi non esistono più. Mancano oltre tre anni alle elezioni regionali in Lombardia, previste nel 2028, e già è partita la corsa ai nomi. O meglio, il “toto nomi”. La miccia l’ha accesa Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega in Senato e segretario del partito in Lombardia, che ha lanciato una suggestione non da poco: Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, come candidato governatore per raccogliere l’eredità di Attilio Fontana.
Un lancio politico che non è affatto casuale. La Lega, da tre legislature alla guida di Palazzo Lombardia, sa che la prossima sfida sarà durissima. Fratelli d’Italia è oggi il primo partito in Regione e punta a conquistare la presidenza, replicando il sorpasso già avvenuto a livello nazionale. Per la Lega sarebbe una perdita simbolica pesantissima, paragonabile allo scivolone del Piemonte nel 2014 o all’erosione del Veneto nel dopo-Zaia.
Romeo, da monzese e uomo d’apparato, ha provato a bruciare i tempi: “Le elezioni non verranno anticipate al 2027, quando ci saranno le politiche. Giorgetti sarebbe la figura ideale”. Una mossa che vale come segnale agli alleati: la Lega non ha alcuna intenzione di mollare la presa sul Pirellone, cuore economico e politico del Paese.
Chi è Giorgetti? Uomo di partito e insieme tecnico di sistema, è uno dei leghisti più “istituzionali”. Commercialista, laureato in Bocconi, ex sindaco di Cazzago Brabbia, ha fatto tutta la trafila parlamentare fino a diventare ministro dello Sviluppo economico con Draghi e oggi titolare dell’Economia con Meloni. Sempre con la fama di mediatore, di “pontiere” tra le spinte populiste del Carroccio e le esigenze dei mercati. Non a caso, fu tra i primi a sostenere la candidatura di Mario Draghi al Quirinale, guadagnandosi l’etichetta di leghista moderato e filo-sistema.
Il suo nome, per questo, divide. Da un lato incarna l’idea di un governatore rassicurante, capace di parlare a imprese, istituzioni e mondo cattolico lombardo. Dall’altro, però, rischia di scontentare le frange più identitarie del partito, ancora legate alla stagione di Bossi e al verbo salviniano.
Il contesto è quello di un grande risiko del Nord. Perché non c’è solo la Lombardia. Nel 2025 Luca Zaia concluderà la sua terza legislatura in Veneto e non potrà ricandidarsi. La Lega ambisce a piazzare lì un successore fedele, per non perdere un’altra storica roccaforte. Anche il Piemonte entrerà nel gioco, con Fratelli d’Italia che prepara da tempo la sua offensiva. In questo quadro, la partita lombarda assume un valore nazionale: non si tratta solo di chi guiderà la Regione, ma di chi comanderà nel centrodestra del futuro.
Il rischio per Giorgia Meloni è di trovarsi in rotta di collisione con Matteo Salvini e i suoi. Perché se la Lega insisterà su Giorgetti, FdI potrebbe avanzare un nome alternativo, forte del consenso raccolto negli ultimi anni in Lombardia. La presidente del Consiglio dovrà gestire il delicato equilibrio tra alleati, evitando che la contesa regionale diventi una resa dei conti interna alla maggioranza.
Il fatto che già oggi si parli di 2028 la dice lunga sulla posta in gioco. La Lombardia non è una Regione qualsiasi: è la locomotiva economica del Paese, il simbolo del potere amministrativo del Nord, la vetrina su cui si misura la credibilità di un partito di governo. Perdere qui significherebbe perdere più che una poltrona: sarebbe il segnale di un declino politico.
Per questo il nome di Giorgetti non è un semplice ballon d’essai. È il primo atto di una campagna elettorale sotterranea che durerà anni e che deciderà i rapporti di forza dentro la coalizione. Con una certezza: da qui al 2028 il gioco a incastri sarà sempre più complicato, e ogni mossa rischia di cambiare lo scenario nazionale.