Ponte sullo Stretto, il governo reagisce duramente, ma l’intervento del Quirinale blocca lo scontro

Al di là delle posizioni pro o contro il Ponte, cerchiamo di capire che cosa è successo, in modo tale da potersi fare un’idea chiara. Intanto, c’è da dire che l’intervento del Quirinale ha frenato l’ira del governo, che aveva deciso di andare allo scontro con la Corte dei Conti. Una scelta che al Colle ha fatto storcere il naso, trattandosi di un fatto che avrebbe potuto provocare una grave crisi istituzionale.

All’interno dello stesso governo si è poi convenuto che la cosa migliore fosse attendere le motivazioni della Corte dei Conti e rispondere punto per punto, come appunto ha chiesto il Quirinale. Torniamo alla bocciatura. La Corte dei Conti ha negato il visto di legittimità alla delibera Cipess con la quale era stato approvato il progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina. Va chiarito che la decisione della Corte non blocca definitivamente l’opera, ma rappresenta comunque un duro colpo per il governo e comporta, come prima conseguenza, il rinvio di alcuni mesi dell’annunciato avvio dei cantieri.

Vediamo cosa c’è al centro dello stop: innanzitutto la compatibilità del contratto con Webuild (già Impregilo, storico costruttore del Ponte) rispetto alle regole europee sugli appalti pubblici, oltre a una serie di criticità ambientali e finanziarie. I magistrati contabili hanno scelto di non ammettere al visto di legittimità la delibera Cipess n. 41/2025, con cui il governo, il 6 agosto, aveva approvato il progetto definitivo del Ponte. La sezione centrale di controllo sugli atti del governo ha quindi deciso di non registrare l’atto, rinviando di 30 giorni la pubblicazione delle motivazioni.

Conosceremo entro un mese le ragioni della decisione, ma qualcosa già trapela. La Corte ha individuato una serie di rilievi sostanziali: aumento dei costi oltre il 50% del valore originario, senza una nuova gara; mancata conformità alle norme ambientali e sismiche; coperture economiche non sufficientemente garantite; dubbi sulle stime di traffico e sulla sostenibilità dell’opera; esclusione dell’Autorità dei trasporti dal processo di approvazione.

Il nodo principale, tuttavia, è di natura giuridica: la normativa UE sugli appalti impone di rifare la gara se il valore economico dell’opera aumenta oltre la metà rispetto a quello iniziale. Un principio che il governo, secondo i giudici contabili, avrebbe ignorato per mantenere in capo a Webuild il contratto originario. Webuild è il colosso delle costruzioni che, con l’allora Impregilo, aveva vinto il bando più di dieci anni fa. Il governo Meloni ha riattivato quel contratto senza bandire una nuova gara, giustificando la scelta con la “continuità” del progetto.

Ma il costo è passato dai circa 4,5 miliardi del 2011 agli oltre 13 miliardi attuali, superando abbondantemente il limite consentito. Per superare i rilievi ambientali, il governo ha dichiarato il Ponte opera strategica e di interesse pubblico preminente, arrivando a definirla perfino “opera militare” — una scelta che la Corte considera una forzatura giuridica e ambientale. Vediamo cosa può succedere ora. Intanto deve essere chiara una cosa: la bocciatura della Corte non blocca definitivamente il progetto.

Il governo può approvare una nuova delibera in Consiglio dei Ministri, sostenendo che l’opera risponde a “interessi pubblici superiori”. In tal caso, la Corte può registrare l’atto con riserva, permettendo formalmente l’avvio dei lavori ma segnalando al Parlamento la propria contrarietà. Un passaggio che avrebbe conseguenze più politiche che giuridiche: l’esecutivo si assumerebbe la piena responsabilità della decisione. Intanto, come abbiamo già anticipato, la tabella di marcia annunciata da Salvini dovrà rallentare. L’apertura dei cantieri a novembre è ormai improbabile, in attesa che vengano depositate le motivazioni ufficiali della Corte e valutati i possibili correttivi.

È comunque interessante ripercorrere la storia lunga sessant’anni del Ponte sullo Stretto. In realtà, la storia sarebbe molto più antica, risalente addirittura all’epoca romana, ma restiamo ai tempi più recenti. Il Ponte sullo Stretto è una delle opere più discusse della storia italiana, simbolo insieme di ambizione, ritardi e conflitti politici.

  • 1969 – Nasce la prima società “Stretto di Messina Spa”, voluta dal governo Rumor, con l’obiettivo di realizzare un ponte sospeso tra Calabria e Sicilia.
  • Anni ’80-’90 – Si susseguono studi di fattibilità, progetti preliminari e proposte, ma nessun governo riesce a far partire l’opera.
  • 2001 – Con il secondo governo Berlusconi, il Ponte torna al centro dell’agenda. Si rilancia la società concessionaria e parte la gara internazionale, vinta dal consorzio guidato da Impregilo.
  • 2006 – Il governo Prodi blocca tutto per motivi ambientali ed economici, sciogliendo la società.
  • 2008-2011 – Berlusconi rilancia ancora il progetto, ma la crisi economica e i costi crescenti lo affossano.
  • 2013 – Il governo Monti dichiara chiusa la vicenda, revocando la concessione.
  • 2023 – Il governo Meloni riattiva la società “Stretto di Messina” e rilancia l’opera come simbolo del “nuovo rinascimento infrastrutturale italiano”. Matteo Salvini ne fa il proprio cavallo di battaglia politico.

Oggi, dopo sessant’anni di promesse, il Ponte torna di nuovo al punto di partenza: tra entusiasmi, dubbi tecnici e accuse di irregolarità. Per il governo rappresenta il sogno di unire il Mezzogiorno e rilanciare l’Italia nel Mediterraneo. Per molti esperti e ambientalisti, invece, resta un progetto rischioso, economicamente insostenibile e ambientalmente devastante. La Corte dei Conti, con la sua decisione, non ha chiuso la partita, ma ha posto una domanda cruciale: può davvero un’opera pubblica di questa portata prescindere dalle regole europee e dai vincoli ambientali? La risposta, come spesso accade in Italia, non arriverà dai cantieri, ma dal confronto tra diritto, politica e realtà economica. E il Ponte sullo Stretto resta, ancora una volta, il sogno (e l’incubo) che attraversa il mare da più di mezzo secolo.