Nei corridoi della politica, dove spesso la memoria storica è un’arma più affilata dei dossier economici, in queste ore gira una battuta che suona come un avvertimento: «A destra, con l’oro, ci ricascano sempre». Il riferimento è immediato, quasi scolastico: la “Giornata della Fede”, il 18 dicembre 1935, quando Benito Mussolini ordinò agli italiani di consegnare le fedi nuziali e qualunque gioiello potesse servire a sostenere le casse del regime. Una pagina che molti credevano archiviata nei libri di storia e che oggi, complice una proposta parlamentare, torna clamorosamente evocata.
A far partire la miccia è stata una notizia rilanciata da RaiNews24: tra le ipotesi che la maggioranza sta valutando per coprire le modifiche alla legge di Bilancio ci sarebbe una “tassazione agevolata” al 12,5% – la metà dell’aliquota attuale – per chi decide di rivalutare oro, monete, lingotti e placchette non dichiarati. L’idea sarebbe quella di favorire l’emersione di beni preziosi conservati nelle cassette di sicurezza o nel fondo dei cassetti di famiglia, mai registrati, mai denunciati, spesso erediti silenziosi passati di generazione in generazione. Secondo le simulazioni dei tecnici, se solo un italiano su dieci aderisse, nelle casse dello Stato potrebbero arrivare fino a due miliardi di euro.
La misura, già pronta in forma di emendamento, è descritta come una “procedura di rivalutazione fiscale dell’oro da investimento”. Un meccanismo che consentirebbe ai contribuenti che al 1° gennaio 2026 possiedono beni preziosi senza un documento originario di acquisto di “sanare” la propria posizione pagando l’imposta entro il 30 giugno dello stesso anno. Una sorta di condono selettivo, mirato a far emergere un patrimonio sommerso difficilissimo da quantificare, ma che gli esperti ritengono tutt’altro che trascurabile.
Nei palazzi romani, però, l’operazione non è stata accolta come un intervento tecnico. Al contrario, ha riacceso un immaginario scomodo, mescolando ricordi personali e memoria collettiva. Non solo perché l’oro è materia sensibile, capace di scatenare paure ancestrali, ma perché la storia italiana è piena di episodi in cui il potere politico ha messo gli occhi sul patrimonio privato. E quando la maggioranza viene accusata di “caccia alle risorse”, il paragone con il passato torna con una facilità quasi automatica.
Lo testimoniano i racconti che, da ieri, circolano nei capannelli dei “centristi”. Storie tramandate dagli anziani, ricordi di famiglia, aneddoti che hanno attraversato decenni. Uno fra tutti: quello della signora del Nord che, dopo aver donato la sua spilla d’oro alla Patria, la vide poco dopo appuntata sul cappotto dell’amante del podestà locale. La scena, diventata leggenda popolare, si concluse con una piazzata memorabile, uno schiaffo “da donna a donna” e la restituzione immediata del gioiello, tra lo scandalo generale e il disonore pubblico del gerarca e della sua protetta. Oggi quell’episodio, ripetuto come una parabola, rimbalza come monito in una maggioranza che sa quanto ogni riferimento all’oro sia potenzialmente esplosivo.
Il governo, per ora, non conferma né smentisce. La proposta arriva formalmente da parlamentari della stessa coalizione e viene valutata insieme ad altre misure di copertura. Ma il fatto che il tema sia emerso proprio nella fase più delicata della manovra alimenta sospetti e malumori. In molti leggono l’idea come una mossa dettata dall’urgenza, una corsa ad accumulare risorse senza toccare voci più sensibili. Altri, invece, la interpretano come uno strumento per far emergere un patrimonio che sfugge da sempre a qualsiasi censimento, soprattutto nei nuclei familiari del Sud, dove la tradizione di conservare “monete buone” per tempi difficili è dura a morire.
Il punto, però, non è solo economico. È politico, simbolico. Tassare l’oro – anche in forma volontaria, anche con una formula “agevolata” – significa toccare un bene che gli italiani considerano sacro, quasi protettivo. Significa riaprire un archivio emotivo, risvegliare memorie familiari che nessuna legge di bilancio potrà mai separare dalla Storia. E la suggestione che la destra di oggi insegua la scia della destra di ieri, anche solo per coincidenza, è un rischio che molti nella stessa maggioranza temono.
Perché l’accusa che circola nelle ultime ventiquattr’ore – «ci ricascano sempre» – può funzionare come un boomerang. E se la proposta dovesse davvero arrivare in Parlamento, lo scontro sarà inevitabile: tra l’urgenza di trovare risorse, la sensibilità culturale di un Paese che conserva l’oro come garanzia familiare e la tentazione, mai sopita, di leggere il presente alla luce dei suoi fantasmi.







