Lo chiamano “scambio alla pari”, ma nella Lega molti lo leggono come una resa. Il patto politico tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni per il futuro controllo delle due regioni chiave del Nord, Veneto e Lombardia, ha provocato una scossa interna destinata a lasciare segni profondi.
L’accordo – che vedrebbe la Lombardia passare in mano a Fratelli d’Italia nella prossima tornata elettorale regionale e il Veneto tornare sotto l’egida leghista – è stato bollinato da Salvini ma anche approvato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, padre fondatore del Carroccio insieme a Umberto Bossi e fino a ieri punto di riferimento della base lombarda.
È proprio la benedizione di Giorgetti, raccontano fonti di governo, ad aver dato legittimità politica a un’intesa che ora rischia di spaccare il partito. Tutto nasce da una riunione riservata a Palazzo Chigi tra i due leader di governo. Salvini, consapevole delle tensioni crescenti nel partito, chiede al ministro di affiancarlo nel negoziato con Meloni. “Andiamo insieme”, avrebbe detto. E così è stato.
Durante il vertice, Giorgetti spiega che è naturale che il partito più forte della coalizione – oggi Fratelli d’Italia – rivendichi la Lombardia, mentre la Lega può considerare il Veneto il proprio fortino naturale. Salvini annuisce, consapevole che l’operazione ha anche un valore simbolico: riequilibrare il peso dei ministri e dei territori, da anni dominati dai lombardi.
Dietro questa mossa, tuttavia, si nasconde un calcolo politico preciso. L’attuale governatore Attilio Fontana è da tempo ai ferri corti con Salvini, che non gli ha mai perdonato la sua autonomia di giudizio. “Decide senza avvisare”, ripete da mesi nei colloqui riservati. Il leader del Carroccio gli rimprovera di non essersi candidato alle europee e di non aver mai messo la sua popolarità al servizio del partito.
A chi lo accusa di aver “svenduto” la Lombardia, Salvini replica che l’accordo serve a blindare il Veneto e garantire una presenza leghista solida nel Nord. E cita il nome di Erika Stefani, fedelissima e considerata “un talento politico naturale”, come la futura candidata di bandiera. È lei, il suo “salviniano presidente di regione”, il simbolo del nuovo equilibrio con Meloni.
Ma la mossa ha un prezzo. In Veneto, dove Luca Zaia resta popolarissimo e il partito è diviso tra l’ala governativa e quella più identitaria, la base si interroga: “Perché noi sì e la Lombardia no?”. Nei circoli padani, il sospetto è che Salvini abbia sacrificato la regione simbolo della Lega per assicurarsi un governatore di fiducia e un’alleanza stabile con Fratelli d’Italia.
Giorgetti, dal canto suo, evita polemiche. Ufficialmente tace, ma nei corridoi del ministero avrebbe ammesso che “tra tre anni sarà naturale che FdI chieda la Lombardia”. Un modo per dire che il vento è cambiato, e che la leadership di Meloni nel centrodestra non è più in discussione.
Intanto, il “caso Cirielli” in Campania aggiunge un ulteriore elemento di tensione. Sotto il simbolo della Lega è comparso il nome del candidato di Fratelli d’Italia, Edmondo Cirielli: “Lega per Cirielli”. Un esperimento già visto con l’“effetto Occhiuto” in Calabria, dove l’alleanza tra liste ha portato un risultato record. Ma nel Nord l’operazione è stata accolta come un affronto: “Se noi non possiamo mettere Zaia sul simbolo – sbotta un militante veneto – perché loro possono?”.
Salvini minimizza, ma sa che la frattura è profonda. “È solo una lista del presidente”, dice ai suoi. In realtà, dietro il pragmatismo del leader si nasconde la consapevolezza che la Lega, senza una strategia chiara, rischia di restare schiacciata tra Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Per il segretario e per Giorgetti, il compromesso con Meloni è l’unico modo per sopravvivere come forza di governo e non scivolare nell’irrilevanza. Ma nel Nord, dove la Lega è nata e dove Bossi aveva costruito la sua “Padania”, la parola “scambio” suona come un tradimento.
E così, mentre a Roma si parla di equilibrio di coalizione, in Lombardia e in Veneto si prepara la resa dei conti. Salvini, dicono i suoi, “ne aggiusta una e ne rompe un’altra”. Giorgetti osserva da lontano, più interessato ai suoi dossier economici che alle faide di partito. E la base, ancora una volta, resta a guardare: smarrita, spaccata e sempre più lontana dal Carroccio di un tempo.