Salvini frena sulle armi per Kiev e blocca il viaggio di Crosetto negli Usa: lo scontro che mette in difficoltà Meloni e irrita Washington

La frenata sull’adesione dell’Italia al programma Purl della Nato – il piano per l’acquisto congiunto di sistemi Patriot e Himars a sostegno dell’Ucraina – non è un incidente tecnico, né una semplice pausa di riflessione. Matteo Salvini la rivendica come una scelta politica, il frutto della sua pressione interna sulla maggioranza, e lo fa proprio mentre il governo naviga tra equilibri fragili, tensioni transatlantiche e le ricadute di un conflitto che continua a spaccare l’opinione pubblica italiana.

Le parole del vicepremier a Napoli sono state calibrate per aprire un fronte. Interpellato sull’eventualità che l’Italia partecipi al meccanismo Purl, Salvini ha afferrato lo scandalo corruzione che sta travolgendo Kiev come una clava: “Mi sembra che stiano emergendo scandali che coinvolgono il governo ucraino. Non vorrei che con i soldi dei lavoratori e dei pensionati italiani si alimentasse ulteriore corruzione”. È la stessa linea che aveva già fatto filtrare nelle scorse settimane, ma ora diventa un annuncio programmatico. Da qui l’affondo successivo: “Non penso che l’invio di altre armi risolverà il problema”.

Parole destinate a generare onde d’urto. Il primo a replicare è stato Guido Crosetto, che davanti alle telecamere ha gelato il collega: “Non si giudica Kiev per due corrotti”. Il ministro della Difesa, che avrebbe dovuto volare negli Stati Uniti proprio per discutere del contributo italiano al piano Nato e della modernizzazione dello strumento militare, si è visto cancellare la missione. Una scelta maturata a Palazzo Chigi, ufficialmente per prudenza politica, ma che porta chiaramente l’impronta delle resistenze leghiste. Salvini non si limita a segnalare perplessità: rivendica un risultato.

La dinamica è più complessa dell’ennesima dialettica interna. Sul tavolo del governo c’è la legge di bilancio, con margini strettissimi e una parte rilevante della maggioranza preoccupata per le implicazioni sull’opinione pubblica di un nuovo investimento militare a favore di Kiev, in un momento in cui l’attenzione degli elettori è concentrata sugli stipendi, sull’inflazione e sui tagli. Il Purl, per l’Italia, significherebbe un impegno di 140 milioni di euro, una cifra definita “sostenibile” dal ministero della Difesa ma che rischia comunque di infiammare il dibattito.

Il quadro internazionale complica ulteriormente tutto. Il Dipartimento di Stato americano, intervistato da Repubblica, ha invitato Roma a confermare la propria disponibilità a sostenere il piano di Kiev. L’Ucraina, nelle ultime settimane, ha intensificato gli appelli informali al governo italiano per ottenere sistemi Patriot e Himars, indispensabili per contrastare i raid russi dal cielo. E mentre Washington rilancia, Salvini muove nella direzione opposta, proponendo una soluzione diplomatica che riecheggia le posizioni di Donald Trump: sedere Putin e Zelensky allo stesso tavolo e “far tacere le armi”.

I toni risuonano volutamente distanti dalla posizione ufficiale del governo, che continua a ribadire il sostegno alla resistenza ucraina. E se Crosetto difende la linea atlantica, Meloni si ritrova nel ruolo più scomodo: quello di dover contenere il vicepresidente del Consiglio senza dare la sensazione di essere ostaggio dei suoi veti. La premier, dicono fonti governative, teme che una decisione affrettata sul Purl possa alienare una quota dell’elettorato più sensibile al tema della spesa pubblica. Allo stesso tempo, non può permettersi di incrinare i rapporti con gli Stati Uniti, soprattutto in una fase di ricomposizione degli equilibri con l’amministrazione Trump, alla quale ha investito molto politicamente.

Salvini, dal canto suo, sa che il terreno è fertile. Può contare sull’appoggio implicito di Giancarlo Giorgetti, che da settimane mette in guardia dai rischi di allargare le spese militari proprio mentre si discute una finanziaria di austerità. E intravede l’occasione per rimettere la Lega al centro del dibattito, marcando la distanza da una politica estera che considera troppo allineata a Washington e troppo poco attenta all’umore degli elettori.

Il risultato è un equilibrio instabile. Da un lato l’Italia rassicura l’Ucraina sulla continuità del sostegno e prova a mantenere credibilità internazionale. Dall’altro Salvini prosegue nella sua marcia parallela, convinto che la sua linea – stop alle armi, dialogo immediato, sospetto sui fondi per Kiev – possa pagare sul piano interno. La frenata al viaggio di Crosetto diventa così un segnale politico: la dimostrazione che la Lega può condizionare dossier strategici anche a costo di creare frizioni nel governo e con gli Stati Uniti.

In mezzo, c’è Giorgia Meloni, costretta a bilanciare l’agenda atlantica con la pressione interna, consapevole che ogni scelta sul fronte ucraino rischia di aprire un nuovo fronte nella maggioranza.