Anna Maria Bernini è una ministra del governo in carica. Non è che si sia mai distinta per qualcosa di particolare nella sua funzione. Anzi. Ma ora è riuscita in un’impresa rara, rarissima: trasformare un disastro annunciato in una prova di arroganza politica. E ha perso un’occasione straordinaria per esercitare una funzione di grande valore: restare in silenzio.
Il disastro annunciato è il debutto del nuovo accesso a Medicina: un’idea venduta come una svolta rivoluzionaria, finita miseramente in un vero e proprio naufragio nei numeri, nei tempi e nella sostanza. Uno tsunami senza precedenti che la ministra Bernini ha incredibilmente definito soltanto una riforma “da affinare”. In un altro Paese europeo, dopo percentuali da selezione darwiniana, sarebbe scoppiato un finimondo politico. Ovunque, i responsabili di un sistema che ha prodotto più confusione che merito avrebbero lasciato l’incarico, sarebbero usciti rapidamente dalla porta secondaria, per non farsi vedere e per non vergognarsi di quanto accaduto. In Italia, invece, come Santanchè e altri insegnano, si resta ben saldi al timone della nave anche davanti a una spaventosa tempesta, anzi dando la colpa ai passeggeri di essere responsabili dell’accaduto.
La sua cifra è il lessico orwelliano: il semestre filtro diventa “semestre aperto”, il bimestre di lezioni una grande opportunità formativa, la selezione mascherata un atto di equità sociale. E poco importa che solo il 20 per cento degli studenti abbia superato Chimica e Biologia e che una minoranza microscopica sia arrivata alla sufficienza in Fisica. Tutto questo, per l’infallibile ministra, è un dettaglio tecnico.
Ma non è tutto. Perché il vero colpo di genio finale è stato quello di ammettere in graduatoria anche chi non ce l’ha fatta, purché recuperi tutto in poche settimane. Secondo la ministra Bernini, per diventare medico basta una sessione di riparazione, come al liceo.
Bernini non sbaglia mai: per lei si corregge subito. Non fallisce: sperimenta. Non ascolta: istituisce tavoli.
Ma ciò che ha scatenato un putiferio (ma solo lei non se n’è accorta) è stato il momento in cui, di fronte agli studenti che protestano, spaesati e schiacciati da un calendario insensato, ha osato offenderli liquidandoli con una battuta da talk show di terza fascia: “siete solo poveri comunisti”. Ed è proprio a questo punto che Bernini ha gettato la maschera, dimostrando disprezzo sociale, profondo fastidio per il dissenso, totale assenza di autocritica.
Cinica nella gestione, spavalda nella comunicazione, impermeabile alla realtà, la ministra dell’Università governa, quando governa, trattando l’istruzione come un laboratorio politico, mentre per lei gli studenti non sono altro che semplici cavie.
Alla Bernini non importa il merito, che viene semmai evocato ma non tutelato; la didattica è solo sbandierata, ma per il resto viene compressa; mentre la (sua) responsabilità è sempre rinviata.
La ministra Bernini è colei che, mentre il sistema scricchiola, resta lì, imperterrita a spiegare – e a illudersi – che vada tutto bene. È solo il Paese che non capisce. È solo colpa dei “poveri comunisti”: quegli studenti che pagano sulla loro pelle le scelte della ministra e il fallimento di un metodo che si sapeva benissimo non potesse funzionare.
di Tacco di Ghino







