Le firme sono arrivate in due giorni: prima Veneto e Lombardia, poi Liguria e Piemonte. Il pacchetto delle pre-intese per l’autonomia differenziata, atteso da mesi e rivendicato dalla Lega come pilastro identitario, è formalmente chiuso. Ma ciò che è stato siglato non modifica ancora nulla nella vita dei cittadini. Le carte firmate dai governatori e dal ministro Roberto Calderoli rappresentano solo il primo passo di un percorso lungo e ad altissima complessità politica. Ora tutto passa al Parlamento, dove maggioranza e opposizione dovranno misurarsi con una riforma che rischia di diventare una delle più divisive dell’intera legislatura.
Il cuore delle pre-intese riguarda quattro materie per cui le Regioni chiedono maggiore autonomia: protezione civile, professioni, previdenza complementare e una porzione della sanità, quella relativa al coordinamento della finanza pubblica. Si tratta di settori già in parte condivisi tra Stato e Regioni, ma che ora potrebbero spostare più poteri verso i livelli locali. Resta fermo il principio dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, necessari a garantire che il cittadino, ovunque viva, abbia accesso agli stessi diritti. Su 23 materie teoricamente “autonomizzabili”, solo nove non richiedono un’armonizzazione preventiva dei Lep. Ed è proprio questo il nodo ancora irrisolto.
Accanto alle competenze richieste, c’è la promessa di un’accelerazione procedurale. Calderoli sostiene che, senza ostruzionismi, basterebbero sei mesi per portare in aula le norme attuative e dare vita alle nuove competenze regionali. Una previsione ottimistica che contrasta con la storia delle riforme istituzionali italiane e con la fisiologica lentezza del confronto parlamentare. Il ministro, tuttavia, si dice convinto che l’intero impianto possa arrivare a compimento entro la fine della legislatura.
Uno dei capitoli più sensibili riguarda la protezione civile. Oggi, in caso di maltempo estremo, frane, alluvioni o dissesti idrogeologici, serve la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale per attivare i fondi destinati ai ristori e agli interventi. Un percorso che richiede settimane, talvolta mesi. Con l’autonomia differenziata i governatori potrebbero dichiarare l’emergenza in autonomia, salvo poi attendere la validazione del Consiglio dei ministri. L’obiettivo, spiega Calderoli, è dare una risposta immediata ai territori colpiti, rendendo più rapida la ricostruzione. Le Regioni, inoltre, potrebbero dotarsi di proprie targhe e patenti per la protezione civile, un dettaglio simbolico ma significativo della volontà di rafforzare il carattere locale dei servizi.
Il secondo fronte caldo è la sanità. Il presidente della Lombardia Attilio Fontana ha spesso criticato l’attuale sistema di riparto dei fondi, definendolo “a silos”, perché impedisce alle Regioni virtuose di utilizzare eventuali risparmi per reinvestire sui propri servizi. Con la nuova impostazione, sostiene la Lega, questo rigidità dovrebbe venire meno. I fondi resterebbero legati ai vincoli di finanza pubblica, ma con una flessibilità maggiore nella gestione interna. La riforma, però, non prevede la possibilità di aumentare gli stipendi del personale sanitario: le retribuzioni restano soggette ai contratti nazionali, un limite che molti presidenti di Regione considerano una delle principali criticità del sistema attuale.
Le pre-intese affrontano anche il tema delle professioni. Le Regioni chiedono di poter istituire nuove figure professionali legate alle esigenze dei loro territori, soprattutto nelle aree con forte specializzazione produttiva. Una richiesta che apre interrogativi non marginali sulla coerenza dei titoli professionali a livello nazionale e sulla mobilità dei lavoratori. Anche la previdenza integrativa rientra nel perimetro dell’autonomia: le Regioni potrebbero creare fondi dedicati per sostenere le pensioni future dei giovani, ma per ora non esiste alcuna definizione operativa dello strumento, né è chiaro come verrebbero raccolte e gestite le risorse.
Il quadro generale resta sospeso fra ambizione politica e difficoltà tecnica. Le pre-intese hanno un forte valore simbolico per la Lega, che rivendica da anni la necessità di dare più potere ai territori. Ma la loro applicazione concreta dipenderà da una serie di passaggi parlamentari e amministrativi che potrebbero rallentare tutto. L’opposizione denuncia rischi per l’unità del Paese, temendo che l’autonomia differenziata possa ampliare il divario tra Nord e Sud. Il governo, al contrario, assicura che la definizione dei Lep garantirà equità e tutela dei diritti essenziali.
Il vero banco di prova arriverà nei prossimi mesi, quando il Parlamento dovrà trasformare le pre-intese in norme vincolanti. Al momento ciò che cambia è soprattutto lo scenario politico: il dossier autonomia torna al centro della battaglia parlamentare, con Regione e governo che scommettono su un riassetto dei poteri capace di ridefinire l’architettura istituzionale del Paese. Se diventerà realtà o resterà un’operazione a metà dipenderà dalla capacità della maggioranza di fare sintesi su un tema che, per sua natura, divide più di quanto unisca.







