Quando Bill Gates ha annunciato la donazione del 90% del suo patrimonio, una cifra che sfiora i 200 miliardi di dollari, interamente destinata allo sviluppo dell’Africa, il mondo si è diviso, ancora una volta, tra ammirazione e sospetto.
È il gesto più imponente mai compiuto da un privato nella storia della filantropia moderna, eppure non tutti riescono a vederlo come un atto di pura generosità. Perché Bill Gates non è mai stato un personaggio semplice da leggere: visionario per alcuni, manipolatore per altri; genio del software o monopolista spietato; benefattore del pianeta o aspirante tecnocrate globale. Una cosa, però, è certa: nessun altro miliardario ha fatto quello che ha fatto lui.
Un filantropo che ha cambiato le regole
Bill Gates ha cominciato la sua avventura filantropica già nei primi anni 2000, quando, ancora saldamente al comando di Microsoft, ha deciso, insieme alla moglie Melinda, di creare la Bill & Melinda Gates Foundation, oggi la più grande fondazione privata del mondo.
Il focus? Lotta alle malattie infettive, istruzione, sviluppo agricolo, sanità pubblica. In vent’anni, la fondazione ha distribuito oltre 60 miliardi di dollari, contribuendo a debellare malattie come la poliomielite in Africa, investendo nei vaccini, sostenendo l’accesso all’istruzione per milioni di bambini nei Paesi più poveri.
Eppure, tutto questo non è bastato a renderlo popolare presso l’opinione pubblica globale. Anzi: la pandemia di Covid-19 ha rafforzato attorno a lui un’aura di sospetto. Le sue dichiarazioni pubbliche sui vaccini, le donazioni all’OMS, la sua influenza sulla sanità pubblica internazionale sono state interpretate da alcuni come tentativi di controllo, piuttosto che come espressione di altruismo. Si è parlato – senza fondamento – di microchip, di brevetti segreti, di ingerenze nei governi africani. Paradossalmente, proprio il suo attivismo nel campo della salute globale gli ha attirato critiche che altri, rimasti in silenzio, non hanno mai ricevuto.
Diverso da Musk, Bezos, Zuckerberg
La recente donazione del 90% del suo patrimonio, che secondo fonti vicine alla Gates Foundation sarà gestita tramite programmi di microcredito, infrastrutture sanitarie, ricerca agricola e digitale in Africa, segna un ulteriore scarto tra lui e gli altri super-ricchi della Silicon Valley. Elon Musk investe nello spazio, Jeff Bezos nel lusso e nella logistica planetaria, Mark Zuckerberg nel metaverso. Bill Gates, invece, ha deciso di “uscire dal capitalismo” con un atto di rottura. Non è la prima volta: nel 2010 fu il primo firmatario del Giving Pledge, la promessa di lasciare almeno metà del proprio patrimonio alla filantropia. Ma qui si è andati oltre.
Questa scelta solleva interrogativi: perché l’Africa? Perché adesso? Perché rinunciare quasi completamente alla ricchezza accumulata in cinquant’anni? Alcuni analisti parlano di una sorta di “testamento etico” dopo il divorzio con Melinda e l’allontanamento graduale dalla scena pubblica. Altri leggono in questo gesto la volontà di influenzare in profondità il futuro del continente africano, creando un modello alternativo a quello cinese, sempre più presente in Africa con capitali e infrastrutture. In altre parole, Gates avrebbe scelto di giocare la sua ultima, potentissima carta geopolitica.
Bill Gates non è mai stato un carismatico. Chi ha lavorato con lui negli anni d’oro di Microsoft lo descrive come ossessivo, iper-razionale, impaziente, capace di demolire un’idea con una sola espressione di disapprovazione. Nei primi anni, il suo obiettivo era solo vincere: diventare il numero uno nel software, conquistare tutti i computer del mondo. Il celebre processo antitrust che lo vide imputato alla fine degli anni ’90 fu uno dei primi momenti in cui l’opinione pubblica lo vide come l’incarnazione del potere tecnologico senza freni.
Eppure, proprio da quel processo inizia la metamorfosi. Gates lascia gradualmente il timone di Microsoft, si dedica alla salute globale, comincia a leggere e studiare su temi lontanissimi dal suo mondo originario. La sua biografia recente è fatta di incontri con epidemiologi, agronomi, climatologi, studenti africani, amministratori locali. È un uomo che ha imparato ad ascoltare, dicono oggi i suoi collaboratori. Ma anche uno che non ha mai smesso di credere di sapere meglio degli altri cosa serve al mondo.
Un gesto che divide
Donare 200 miliardi all’Africa è qualcosa che lascia il segno. Ma è anche un gesto che, per la sua scala, riscrive i confini tra politica, economia e filantropia. Un atto radicale, che fa apparire persino lo Stato come una struttura lenta e inadeguata. Con questa mossa, Gates diventa qualcosa di inedito: non più un semplice imprenditore filantropo, ma un vero attore globale, dotato di una potenza economica paragonabile a quella di molti Paesi.
La domanda, allora, non è solo “perché lo fa?”, ma anche: chi decide cosa è bene per l’Africa? Un uomo solo può davvero indirizzare il destino di un intero continente? E quali saranno le condizioni, le logiche, le priorità di questo gigantesco piano di sviluppo?
Bill Gates, nel bene o nel male, ha sempre agito fuori dal coro. Questa ultima decisione non fa eccezione. Non sarà mai amato da tutti, e forse non lo vuole neppure. Ma se il mondo sarà migliore tra dieci o vent’anni, sarà difficile negare che lui ci abbia messo qualcosa di molto concreto. Anche se, ancora una volta, a modo suo.
di Ernesto Mastroianni