Cara Ursula ti scrivo, così mi distraggo un po’ avrebbe cantato Lucio Dalla. Solo che stavolta, a scrivere, sono in tre: Emmanuel Macron, Giorgia Meloni e Friedrich Merz. Un trio che, se non fosse tutto vero, sembrerebbe il cast di un film politico europeo dalle tinte surreali. E invece è proprio la realtà di questi giorni a Bruxelles: tra bozze che volano da una capitale all’altra, telefonate sottotraccia e parole limate con il cesello, la strana alleanza tra Francia, Italia e Germania si prepara a consegnare alla presidente della Commissione europea una lettera che suona tanto come una carezza piena di spine.
Perché il messaggio è uno solo, ma chiarissimo: cara Ursula, se vuoi che la prossima legislatura abbia un senso, dovrai ascoltarci. E fare i conti con la competitività. Un modo educato – ma non troppo – per dire che l’Europa dei vincoli e delle transizioni a tappe forzate non funziona più. E soprattutto non regge il confronto con le superpotenze. Né con le fabbriche che chiudono.
Il primo a voler scrivere a Bruxelles è stato Macron. Succede nei giorni del disgelo con Meloni, lo stesso in cui i due si stringono la mano a Palazzo Chigi, il 3 giugno. Il duello infinito tra i due – iniziato nel 2022, continuato tra parole al vetriolo e sorrisi finti – viene accantonato. “Facciamo qualcosa insieme”, propone Macron. Meloni accetta. E Friedrich Merz – volto della nuova Cdu, erede di Scholz per interposta opposizione – entra nel gioco. Risultato? Una lettera a tre mani per scuotere la Commissione. E la sua presidente, che guarda il mondo da dietro i suoi occhiali d’acciaio e che fino a pochi mesi fa sembrava intoccabile.
Ma il vento è cambiato.
Le capitali si scambiano bozze anche durante il weekend. L’idea era quella di arrivare al Consiglio europeo di fine giugno con la missiva già pronta. Poi si è deciso di prendersi qualche giorno in più. Perché le parole, in diplomazia, sono armi affilate. E perché l’obiettivo è ambizioso: riscrivere le priorità politiche dell’intero continente. A partire dall’industria. Dall’auto. Dalla transizione verde che rischia di spezzare le gambe all’economia.
Tre i punti su cui gli autori della lettera hanno già trovato un’intesa. Il primo: neutralità tecnologica. Che vuol dire libertà di scelta su come ridurre le emissioni. Auto elettriche, sì, ma anche biocarburanti, idrogeno, e-fuels. Il secondo: strumenti finanziari flessibili, perché il Green Deal costa e non tutti i Paesi hanno lo stesso margine di manovra. Il terzo: difesa e spazio come nuove frontiere su cui investire. Perché il mondo cambia, e l’Europa deve svegliarsi.
Su altri temi, invece, le frizioni restano. Parigi vuole incentivi europei per l’auto elettrica. Roma non dice no, ma chiede parità di trattamento per le soluzioni alternative. Berlino è più prudente. Poi c’è la grana Mercosur: l’accordo con i Paesi sudamericani che piace alla Germania, fa storcere il naso a Parigi e lascia Roma nel mezzo, a fare da equilibratrice.
In sottofondo, il peso politico dell’iniziativa è evidente. Non è solo una lista della spesa. È una mossa. Una sfida. Un cartellino giallo indirizzato a von der Leyen, che cerca la conferma al secondo mandato e non può permettersi di ignorare tre potenze fondatrici dell’Unione. Un segnale che non sfugge nemmeno ai socialisti e ai verdi, che spingono in senso contrario: vogliono la linea dura, emissioni zero entro il 2050, costi quel che costi.
Von der Leyen sarà a Roma il 10 luglio per la conferenza sull’Ucraina. E parteciperà anche a un incontro organizzato da Confindustria insieme al Medef francese. Il tema? Sviluppo e competitività, ovviamente. Difficile immaginare un contesto più carico di attese – e trappole.
Nel frattempo, la lettera è pronta. O quasi. Tre firme. Tante aspettative. E un ritornello che potrebbe suonare familiare: L’anno che verrà, sperano tutti, sarà quello di una nuova politica industriale. Ma per ora resta la sensazione che a Bruxelles stia andando in scena un grande ritorno del teatro delle lettere. Quelle che iniziano con Cara Ursula e finiscono con distinti saluti, ma decisi.