“Non per giudicare, ma per curare”, la CEI apre all’inclusione: diritti gay e fine vita al centro

Il vicepresidente della CEI monsignor Francesco Savino dopo il testo sinodale “Lievito di pace e di speranza”: “Serve una pastorale con le persone LGBT+, non per loro”. E sul fine vita: “Necessario lavorare a una legge nazionale condivisa”

La Chiesa italiana è chiamata a un passo in avanti “spirituale, culturale e pastorale”, che non riguarda soltanto linguaggio o tono, ma la sostanza del modo di essere comunità. Lo afferma il vicepresidente della CEI, monsignor Francesco Savino, commentando l’esito della Terza assemblea sinodale, che ha approvato il documento “Lievito di pace e di speranza”, in cui si chiede alla Conferenza episcopale di sostenere con decisione iniziative contro femminicidi, omofobia e bullismo.

“L’inclusione non è uno slogan da esibire”, spiega Savino in un’intervista a La Stampa, “ma un processo di conversione pastorale, culturale e spirituale. Attraverso il Vangelo riconosciamo in ogni persona, senza eccezioni, la dignità irriducibile di figlio di Dio”. Una direzione che, sottolinea, non nasce dalla pressione dell’attualità, ma dalla fedeltà al mandato evangelico: “La Chiesa deve farsi prossima: non per giudicare, ma per curare; non per possedere, ma per liberare davvero”.

Il Giubileo Lgbtq+ e la scelta di Leone XIV

Savino è stato tra i protagonisti, lo scorso mese, del Giubileo Lgbtq+. La sua presenza, autorizzata dal pontefice, è stata per molti un segnale di svolta. “Quando Leone XIV mi ha detto con semplicità ‘vada a celebrare con loro’, ha racchiuso l’orizzonte di una Chiesa che non si ritrae dalle periferie esistenziali, ma vi entra con amore. Non un gesto politico, ma di giustizia riparativa. Restituire dignità a chi l’ha vista negata, anche dal nostro silenzio”.

Savino ribadisce che l’assemblea sinodale non chiede una Chiesa “militante”, ma coerente: “Il passo verso l’inclusione non è un atto simbolico. Significa passare da una pastorale per le persone Lgbtq+ a una pastorale con loro: condivisa, dialogica, sinodale”.

Fine vita, CEI: “Meglio una legge nazionale condivisa”

Nella stessa intervista, il vicepresidente della CEI interviene anche sul tema del fine vita, attualmente regolato da interventi giudiziari e sperimentazioni regionali. “È meglio una norma nazionale condivisa, capace di tutelare la dignità inalienabile di ogni persona, piuttosto che decisioni frammentarie e contraddittorie”, afferma. “È più saggio lavorare ora a una legge equilibrata, frutto di dialogo e discernimento, piuttosto che trovarsi domani di fronte a una norma che apra di fatto all’eutanasia”.

Per Savino, la morte non è un fatto privato, ma un passaggio comunitario: “La morte chiama la comunità a una responsabilità collettiva. Le cure palliative dicono sì alla vita nella sua forma più alta, senza negare la morte naturale”.

Una Chiesa che costruisce ponti

Savino conclude con una visione netta: “Il compito della Chiesa è annunciare il Vangelo costruendo ponti di verità e misericordia, mentre il mondo innalza muri di paura e giudizio”. Una direzione che non elude i conflitti, ma li attraversa “mettendo al centro la persona, e non l’ideologia”. Il cammino sinodale, osserva, è ancora agli inizi. Ma l’orientamento è tracciato. Una Chiesa che include non abbandona la sua dottrina. La incarna.