Giuseppe Conte indossa la maschera del mediatore, ma la mira è politica: la guida del campo progressista. In un’intervista a La Stampa, l’ex presidente del Consiglio apre alla possibilità di un confronto con Elly Schlein sulla leadership della coalizione anti-Meloni, senza tuttavia rinunciare a marcare il territorio. «Non sarò mai di ostacolo nella scelta del candidato migliore per vincere», afferma, spiegando che il Movimento 5 Stelle «è disponibile a discutere sui vari criteri per scegliere la candidata o il candidato più competitivo». È un passo in avanti, ma anche un messaggio in codice: la corsa al vertice del fronte progressista resta aperta, e Conte vuole esserci.
La linea è dialogante, ma non remissiva. «Lavoreremo per trovare una sintesi sulle questioni ancora aperte», dice, parlando delle divergenze con il Pd. Tuttavia, sul tema economico si allontana con decisione dalla proposta di patrimoniale rilanciata da Schlein. «Sul piano dei costi-benefici è un vuoto a perdere, perché si ottengono poche risorse ma grande allarme», spiega. «Meglio colpire gli extraprofitti di banche, colossi energetici e del web: questa è la priorità, se vogliamo redistribuire davvero la ricchezza».
Conte rivendica un approccio pragmatico. «Oggi, con Giorgia Meloni al governo, abbiamo il record di pressione fiscale da dieci anni a questa parte», sostiene. «Le famiglie e le imprese non arrivano alla fine del mese. Per questo la giustizia sociale non si ottiene tassando i patrimoni, ma correggendo gli squilibri e recuperando le risorse dove si creano ingiustizie». Rivela anche un retroscena dei tempi di Palazzo Chigi: «Convocai gli uffici del Mef per simulare una super-tassazione sui redditi più elevati. Scoprii che rendeva pochissimo e creava enorme allarme».
Il leader pentastellato si mostra invece aperto a una tassa europea sui grandi patrimoni, «sulla scia della proposta Zucman, che riguarda i patrimoni oltre i 100 milioni di euro». E aggiunge: «Con Pasquale Tridico stiamo portando avanti l’idea a livello europeo. A livello nazionale sarebbe impensabile».
Sui temi sociali, la distanza con la premier è totale. «Noi stiamo combattendo questa manovra in Parlamento – spiega –. Gli operai prendono stipendi da fame, sono vessati dall’inflazione e dalle tasse. È giusto che scendano in piazza contro il governo che ha affossato il salario minimo e aumentato solo gli stipendi di sottosegretari e ministri». Poi lancia le sue quattro proposte per la legge di bilancio: «Aumento della no-tax area dagli attuali 8.500 a 20mila euro di reddito l’anno, potenziamento dell’assegno unico, recupero del credito d’imposta per gli investimenti e spostamento dei fondi del riarmo verso la sanità».
Ma è sulla sicurezza che Conte sfida frontalmente Meloni: «Le tasse aumentano e la gente si sente sempre più insicura. Con questo governo sono cresciuti furti, scippi e rapine. Da padre sono allarmato per le baby gang e gli spari che uccidono i giovani dell’età di mio figlio». Propone «la procedibilità d’ufficio per reati odiosi come lo scippo» e «un fondo per la sicurezza dei Comuni finanziato con il miliardo che oggi il governo spreca per l’accordo con l’Albania».
Non risparmia critiche al ministro Nordio, accusato di aver «scritto una legge per cui prima di arrestarti ti devono avvisare: l’hanno fatta per proteggere politici e colletti bianchi, ma ora consente a decine di delinquenti di sentirsi impuniti». Sull’immigrazione, Conte boccia il blocco navale e l’intesa con l’Albania: «Un fallimento preannunciato. Gli sbarchi sono aumentati di oltre 300 mila unità in tre anni. La premier paghi la propaganda di tasca propria e metta i soldi sulla sicurezza delle nostre città, dove mancano 25 mila tra poliziotti e carabinieri».
Quanto al rapporto con il Partito Democratico, nega qualsiasi schema predefinito: «Noi siamo una forza radicale nel combattere i privilegi, impegnata per la giustizia sociale e ambientale. Le alleanze non sono mai precostituite, ma nascono da accordi scritti nero su bianco su obiettivi chiari». E ribadisce di non sentirsi “di sinistra” in senso tradizionale: «Abbiamo una forte identità progressista, ma non vogliamo mancare di rispetto a una tradizione politica che non ci appartiene».
Sul fronte delle istituzioni, annuncia la battaglia contro la riforma della giustizia: «La legge è uguale per tutti e deve rimanere tale. La riforma scardina questo principio: per i cittadini comuni non cambierà nulla, mentre la Casta si sfrega le mani. Lo ha ammesso Nordio stesso: la riforma conviene a chi va al governo».
Conte sposta poi l’attenzione sull’emergenza sociale: «Il vero allarme democratico è un Paese che non cresce, con sei milioni di italiani che rinunciano a curarsi e una famiglia su tre che taglia la spesa alimentare. Mi preoccupa una società che perde fiducia nel futuro e diserta le urne».
Critico anche sul sistema delle Authority, propone un cambio radicale: «Non possono essere il refugium peccatorum dei politici rimasti in panchina. Servono criteri più rigorosi di selezione e il divieto di nomina per chi si è candidato a elezioni negli ultimi anni».
Sul modello americano di Zohran Mamdani, che ha ispirato parte della sinistra italiana, Conte resta cauto: «Non amo importare modelli. La lezione è che gli elettori si convincono parlando dei loro problemi concreti: il caro vita, il lavoro, la casa».
La chiusura è all’insegna della competizione gentile ma decisa: «Siamo pronti a discutere su tutto, anche sul nome del candidato premier. Ma il nostro obiettivo è vincere e cambiare il Paese». È il linguaggio di un leader che si prepara alla resa dei conti con Schlein, senza proclami ma con la certezza di voler guidare lui, ancora una volta, il fronte che sogna di riportare la sinistra al governo.







