Giuseppe Conte ha scelto il giorno della grande festa per accendere un altro motore. «È il momento di costruire un programma per far rialzare l’Italia», ha scritto sui social poche ore dopo il trionfo campano, mettendo da parte l’euforia per Roberto Fico e aprendo formalmente il cantiere politico che, nelle sue intenzioni, dovrà condurre a una nuova piattaforma di governo per il campo progressista. Un annuncio che segna una svolta di metodo e di ambizione: l’ex premier torna al linguaggio della partecipazione, insiste sul coinvolgimento diretto dei cittadini e rilancia il modello elaborato un anno fa con Nova, dal quale dice di voler ripartire. Nessuna alchimia da notabili, nessuno scambio di vedute tra dirigenti: per Conte, il programma deve essere la sintesi di un percorso popolare e diffuso.
Nel suo ragionamento c’è un sottotesto chiaro: la vittoria di Fico è solo un punto di partenza. «Oggi potrei accontentarmi di una schiacciante vittoria», riconosce, ricordando l’impresa di aver conquistato la Campania con un candidato M5S che ha superato di 25 punti un esponente di primo piano del governo Meloni. Ma subito dopo arriva il rovescio della medaglia: «Troppe persone non si sentono coinvolte dalla politica», dice, sottolineando il problema della partecipazione che affligge ormai ogni competizione elettorale. La denuncia è nota, ma la tempistica – all’indomani di un successo personale e politico – indica la volontà di utilizzare il vento favorevole per costruire qualcosa di più grande della somma dei partiti.
Il Movimento, ricorda Conte, non nasce per garantirsi “pratiche di potere”, e il ritorno a temi come l’ascolto, l’apertura e il confronto continuo appare come un tentativo di riposizionare la forza politica sulla sua matrice originaria. In questo senso, Fico diventa un ponte naturale: pentastellato delle origini, anima sociale e progressista del M5S, volto dialogante e garante dell’alleanza con il Partito Democratico. Una figura che, agli occhi delle opposizioni unite, rappresenta il collante possibile del campo largo, soprattutto al Sud, dove i numeri raccontano di una coalizione competitiva e capace di insidiare il centrodestra. Conte lo sa bene, e proprio per questo il suo discorso appare calibrato: celebrare senza stravincere, riconoscere il successo ma aprire la strada a un nuovo processo.
Non è una novità che il leader M5S utilizzi toni più istituzionali, anche perché nelle ultime settimane ha intensificato le uscite su difesa e sicurezza, temi solitamente lontani dal vocabolario dei pentastellati. La postura è quella di un ex premier che rivendica risultati ottenuti in Europa e che invita a una sfida più alta: battere il centrodestra non con slogan o identitarismi di parte, ma con una visione credibile, capace di parlare a famiglie, imprese e giovani che chiedono risposte e non dichiarazioni. La partecipazione, in quest’ottica, diventa il veicolo per ricostruire un rapporto logorato tra società e politica, e al tempo stesso la chiave per riempire di contenuti una coalizione che, al netto del successo elettorale, deve ancora trovare un terreno comune.
Su questo punto si apre il capitolo più complesso. Perché se a Napoli e in Puglia l’unità ha funzionato, sullo scenario internazionale restano differenze profonde. Il tema dell’Ucraina, come Conte sa bene, è la variabile che può unire oppure dividere. Le recenti posizioni sulla necessità di un negoziato e le perplessità su alcune linee del governo italiano e dell’Unione Europea delineano un solco tra le varie anime del campo progressista. È una questione che non può essere rimossa, perché in un mondo dove la competizione geopolitica si gioca ben oltre i confini nazionali, la politica estera è parte integrante della visione di governo. Per questo nelle prossime settimane il confronto sarà inevitabile, tanto più che proprio il piano americano sulla pace e le reazioni europee stanno ridefinendo la cornice internazionale entro cui ogni forza politica dovrà posizionarsi.
La vittoria in Campania, tuttavia, restituisce ai progressisti un senso di possibilità che sembrava sopito. Lo racconta il mantra che già circola nei comitati: “Oggi in Campania, domani in Italia”, un’eco che ricorda la stagione sarda e la vittoria di Solinas prima che il vento cambiasse di direzione. Ma, come ha scritto un dirigente del Pd, «la somma numerica non basta: serve una somma politica». Significa lavorare su contenuti, identità, visione condivisa. Significa discutere di leadership senza personalismi, valutare la strada delle primarie, come hanno dichiarato sia Conte che Schlein, e passare dalla tattica alla strategia.
È un passaggio che richiederà equilibrio e capacità di mediazione. Perché se il successo di Fico consolida il rapporto tra M5S, Pd e Avs, resta da capire quale forma debba assumere l’alleanza: cartello elettorale, coalizione strutturata, federazione di forze? E con quali priorità? La cornice di un programma partecipato potrebbe essere l’occasione per definire insieme i capitoli fondamentali: lavoro, ambiente, sanità, giustizia sociale, diritti, politica industriale. Ma il nodo internazionale, quello sì, dovrà essere affrontato senza ambiguità, perché sarà il primo banco di prova dell’affidabilità della coalizione.
Conte chiude il suo messaggio con un invito semplice e diretto: «Avanti, possiamo cambiare le cose insieme». Un appello alla mobilitazione che riporta il Movimento alla sua grammatica originaria e che, allo stesso tempo, apre un confronto necessario e ormai non più rinviabile. La costruzione del campo largo, da oggi, passa anche da qui: dalla disponibilità a mettersi in gioco, dalla capacità di superare divisioni storiche e dalla volontà di proporre un’alternativa che sia davvero all’altezza della sfida. Perché i numeri di Napoli e Bari raccontano una possibilità concreta, ma la politica – soprattutto quella che vuole governare – ha bisogno di architetture solide, non solo di vittorie episodiche.







